A quanto mi consta è un neologismo: i cristiani mai erano stati definiti da un ex presidente degli Stati Uniti, e da una ancora aspirante tale, cioè da coloro che sono ancora oggi i maggiori esponenti dei democratici americani, come “easter worshippers”. Lo hanno fatto, a poche ore di distanze l’uno dall’altro, Barack Obama e Hillary Clinton con due tweet a commento dell’atroce strage compiuta in Sri Lanka.
“Adoratori della Pasqua” suona un po’ come “adoratori” di un culto primitivo, esotico, eccentrico, minoritario: come un insieme di persone da guardare con distacco misto a curiosità. Che la doppia uscita sia avvenuta quasi all’unisono non può essere un caso, e neppure un lapsus freudiano. Essa è il risultato di un progetto culturale-politico ben preciso di cui Obama e Hilary sono stati e sono, all’una tempo, espressione e autori eminenti. Effetto e causa.
Questo progetto, che ha trovato espressione in una quantità di leggi e regolamenti sotto la presidenza Obama, e che non poco spiega il voto per reazione dato dagli americani a Donald Trump, è il “politicamente corretto”, espressione compiuta del pensiero radicale e liberal nel momento del suo apogeo. Un pensiero che, colto nella sua essenza più profonda, è, nonostante in molti pensino il contrario, profondamente illiberale e antioccidentale. Prima di tutto, perché, nel momento in cui pone nel discorso pubblico e politico il tema di una presunta “correttezza” e “moralità”, tende ad escludere i diversamente senzienti e pensanti e a porsi come “pensiero unico”. Secondariamente, perché, in nome di una astratta ragione e morale, depotenzia dall’interno la mostra identità e la nostra morale, cioè quegli elementi che in un travaglio storico plurisecolare, plasmato in quasi ogni sua parte dal cristianesimo, ci hanno portato alla democrazia, al liberalismo e alla laicità (cioè in concreta alla separazione del potere politico da quello religioso).
Ciò è particolarmente pericoloso nel momento in cui altre civiltà, fra cui quella islamica, non solo nelle sue espressioni più radicali, vuole prendersi una rivincita storica nei nostri confronti. Il rischio, anzi già quasi la realtà, è di farci trovare disarmati a questo appuntamento con la storia. Se prima noi non crediamo alla nostra Storia e ai nostri valori, perché gli altri dovrebbero rispettarci? Non è forse il relativismo acuì siamo giunti prima ancora che il nostro essere “infedeli” che arma la mano dell’islamismo politico e in genere quella di ogni nemico della nostra civiltà? Che dialogo alla pari possiamo intraprendere con gli altri se non abbiamo più una nostra identità o ci vergogniamo di essa?
L’impressione è che prima che dal nemico esterno, l’Occidente sia oggi aggredito da un nemico interno che ne sta lentamente corrodendo i valori e l’essenza. Mi sembra che, in quest’ottica, il neologismo usato da Obama e Clinton sia indicativo di un certo modo di pensare e della gravità non sempre percepita (e non a caso) dei tempi che stiamo vivendo