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I quaderni e le tele di Gabriella Sernesi

Come per i viaggiatori del passato Grand Tour con i loro taccuini , i loro appunti, i loro schizzi di paesaggio, gli scorci, i disegni ad acquerello o a matita, gli appunti di un artista che siano scritti o disegnati ai margini o a piene pagine hanno sempre il loro fascino, il fascino di chi osserva e annota.
Ho avuto il piacere di conoscere casualmente (ma forse si è trattato solo apparentemente di un caso) Gabriella Sernesi in una sua mostra d’arte e di pittura e conoscerla si è rivelato essere un vero e proprio viaggio nel viaggio.
Mi trovavo in una località di vacanza sul mare, sulle sponde abitate dal mito di Circe, nelle splendide terre di approdo di Ulisse e i suoi prodi.
Varcata la soglia della stanza espositiva ho avuto l’impressione di essere approdata su un’isola azzurra, sono stata avvolta dai colori : dai blu, dagli azzurri, dai bianchi e dai rossi accesi. Solo in un secondo istante sono emerse dai colori le forme e le figure di una realtà acquatica, non sommersa, ma quella riflessa sulle pareti delle grotte al mare, sulla superficie dove l’acqua lambisce la costa, i promontori e la terra.
Sulle pareti, in alto e in basso, le tele come finestre aperte su altre stanze, altri scorci, panorami, vedute mostravano ombre colorate, figure dai profili stagliati nei contorni bianchi di luce, vasi, strumenti, telai, corpi, piante, mitiche visioni.
Solo successivamente ho posato lo sguardo sullo scrittoio di Gabriella (scrittoio ? O tavolo da disegno? O entrambi ?).
Tra gli acquerelli e i pennelli , i piccoli vasi d’acqua ho notato le pagine, i quaderni scritti con inchiostro blu, a tratti azzurrino.
Mi sono soffermata a leggerne gli appunti in una grafia chiara e leggibile, regolare come l’increspatura del mare calmo quando si guarda dalla spiaggia e sembra formato da sovrapposizioni di linee di azzurro, di verde acquamarina, di blu, di celeste, di smeraldo e di oro.
Sembra di viaggiare in un periplo e sono tre i motivi fortemente intrecciati tra loro : il mare, il dialogo, l’Europa che hanno una radice comune, l’intreccio di una trama secolare dove i popoli mediterranei hanno disegnato i loro fili d’ordito e creato il tessuto delle loro storie di uomini e di civiltà.
Gli appunti e i dipinti di Gabriella Sernesi mi evocano le poesie di Montale, le raccolte che contengono quegli ossi di seppia, le marette, le “frecciate bianche-azzurre”, le carrucole, le meridiane, i segni della proda, le vesti, il vento.
Ma mi riportano alla mente anche i versi di Quasimodo con le immagini delle dimore, il fragore del mare, le nuvole, i lini spalancati al vento, le cetre, le zampogne…
Il mare richiama Ulisse, Omero, fa venire in mente Ovidio e richiama a me i profili delle terre emerse , della filosofia delle alterità, degli altri visti con i loro volti , profili di altri orizzonti che si stagliano davanti a noi come nuove terre d’approdo e di conoscenza.
Ecco, il mare è l’elemento che fa scaturire il dialogo, il dialogo tra le genti, tra i popoli che l’hanno attraversato, vissuto, lambito dall’una all’altra sponda.
Forse oggi, riflette Gabriella Sernesi , abbiamo dimenticato il significato autentico del “dialogare” che ha in sé il confronto di due realtà diverse che s’incontrano e si mettono in comunicazione : un ricevente ed un emittente che si scambiano un messaggio, un significato, il trasferimento di un pensiero che solca il mare di due menti distinte per entrare in sintonia proprio in quella realtà sonora che è l’entrare in relazione, il parlarsi, il comunicare.
La storia di una rivelazione dei popoli tra popoli è appartenuta proprio al Mediterraneo , a quel mare chiuso, realtà concava di risonanza di voci e di sonorità che hanno animato le prime civiltà, i primi scambi, le radici di una animistica visione delle cose , del mito e della Identità di Memoria.
E poi i vasi che tornano negli appunti, negli acquerelli, tra le pagine e i ricordi di Gabriella, non a caso i vasi sono legati al mare, al Mediterraneo, all’ Italia , alla Grecia.
Il vaso è metafora di quella identità di memoria, di popolo, di tradizione e sapienza di manufatto di terracotta che conserva i prodotti della terra, l’olio, il vino, le sementi, i tesori e la speranza .
Di vasi sono costellati i fondali del Mediterraneo dove le navi antiche , dirette con le loro prue verso quell’ambita ultima thule affondarono, portando con sé i loro preziosi carichi di sapienza e operosità sigillati con la cera e avvolti nel segreto, nell’ arte e nel gusto.
Grazie a questi vasi dipinti , alle scene impresse sulle pance convesse , alla loro forma, alle anse, ai colli, alle loro aperture, agli orli e ai piedi ,alla vernice nera possiamo immaginare le storie dei loro artigiani vasai.
Questi fili di trama e di ordito non sfuggono a Gabriella Sernesi, alla pittrice e all’artista, alla “viaggiatrice” che sa soffermarsi sull’orlo delle suggestioni e sa attraversarle da parte a parte, perché sa coglierle per portarle da un’altra parte, in un trasbordare di pagina in tela, di inchiostro in colore, fermandole .
E nel fermarsi si torna alle radici, si ripensa alla identità, alle molteplici identità di un confronto che deve tornare, riemergere , riportare all’incontro primitivo , a quel riconoscersi diversi come terre emerse che si guardano dalla terra e dal mare , come accade per Despina ne Le città invisibili di Italo Calvino.
E’ uno sguardo che si lascia affascinare quello della Sernesi, ma non senza riflettere, uno sguardo esercitato alla lentezza, al cogliere per conservare con l’intento di far vivere e rivivere la memoria di tutto ciò che è stato visto, sulle pagine di un quaderno o sui lembi tesi di una stoffa, una tela o una vela.
Tutto questo è un viaggio nel viaggio, l’eterno andirivieni della ragione che solo ragione non è, ma è passaggio dal mito al logo , fino all’ultimo sentire della fede.

Marianna Scibetta

Roma, 08/04/2019

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