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La blacklist dei rider? Come trasformare la propria bicicletta in un’arma

riders

Provo a dare una lettura della surreale vicenda delle liste di proscrizione, create da alcuni riders – bene sottolineare solo alcuni – al lavoro a Milano. Senza dare giudizi diretti, che appaiono francamente superflui e non potrebbero prescindere da un’estrema severità, mi sembra più utile ragionare sul come possa essere nata un’idea del genere. Credo non sarebbe mai venuta in mente a nessuno, senza la martellante campagna d’opinione, in corso da mesi ormai, secondo cui i riders, senza distinzioni, sarebbero vittime di un vero e proprio sopruso continuato. Elevati a simbolo della nuova schiavitù o almeno dell’inumanità della Gig Economy, non deve meravigliare che una parte di loro si sia sentita moralmente autorizzata ad un’azione così meschina.

Se ripeti ossessivamente a qualcuno, per lungo tempo, che ha tutte le ragioni e nessun torto. Se inviti a rivendicare anche ciò che non è logico e sostenibile rivendicare (salvo poi non fare assolutamente nulla in concreto), è probabile che almeno alcuni partano per la tangente. Se ti senti uno Spartaco del III millennio, è giusto ai tuoi occhi cercare una rivolta, anche vigliacca, mettendo all’indice i ricchi brutti e cattivi.

I capitalisti delle caricature di un tempo, immancabilmente con la pancia gonfia dello sfruttamento del proletariato, sono stati sostituiti dall’immagine astratta del vip social, insensibile e di manica cortissima.

In definitiva, queste liste non sono altro che l’ultima versione, aggiornata e corretta, di un’invidia sociale, che sempre più spesso tracima nell’odio. Un bel regalo che ci siamo fatti, sostituendo alla verità, anche se scomoda, una narrazione pelosa della nuova realtà.

Se dividi il mondo in egoisti e sfruttati, senza timore del senso del ridicolo, non puoi meravigliarti più di tanto se un ragazzo – o meno ragazzo – decida di trasformare la propria bicicletta in un’arma squallida e impropria.

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