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Senza un’intelligence economica, l’Italia industriale sarà terra di conquista

Di Laris Gaiser
intelligence

La Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza

Negli ultimi anni si sono susseguiti molteplici casi di aziende italiane comprate o penetrate da soggetti stranieri. Le ragioni sono molteplici: talvolta per mero investimento; molto spesso per usufruire delle capacità produttive e del design Made in Italy; altre volte per controllare le infrastrutture o, nel peggiore dei casi, annichilire la concorrenza.

Sebbene l’Italia possegga storicamente grandi capacità produttive, negli ultimi decenni ha dimostrato qualche difficoltà nel mantenimento di un alto livello della classe manageriale, oltre a un’incapacità di dar vita a un rilancio strategico del proprio sistema-Paese. I casi Telecom, Piaggio Aerospace, Marelli, così come le innumerevoli acquisizioni nel campo della moda e dell’alimentare, sono di fronte agli occhi di tutti per le conseguenze che hanno creato dal punto di vista della sicurezza, dell’immagine, dell’indipendenza o dell’indotto.

La Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza ha evidenziato iniziative tese a esfiltrare tecnologia e know how e una sempre maggiore esposizione delle imprese italiane a iniziative di spionaggio industriale, talvolta riconducibili – come si legge nel documento – “a gruppi ostili strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi ultimi hanno ricevuto linee di indirizzo strategico e supporto finanziario”.

Se l’Italia non adotta una vera e propria struttura di Intelligence economica, correrà ampi rischi. Negli ultimi anni si è fatto molto poco, continuando così a subire l’azione di nazioni più e meglio organizzate. Ma il fatto che quest’anno nella relazione si dedichi maggiore attenzione alla fragilità economico- finanziaria è molto positivo. Il sistema produttivo nazionale, basato in maggioranza sulle piccole e medie imprese, soffre della mancanza di investimenti, della frammentarietà delle istituzioni e di un quadro legale generale poco favorevole. Sono tutti fattori che facilitano le operazioni straniere.

Finalmente si legge nella relazione che “il quesito relativo all’effettiva capacità dell’attuale assetto economico ha assunto un’inedita e forse inattesa centralità”. Ora, sempre citando la relazione, è necessario un notevole sforzo di “adeguamento dottrinario, organizzativo e culturale”. Mai parole del comparto sicurezza furono più adatte alla circostanza.

Il fatto che esista lo spionaggio industriale e l’acquisizione straniera del nostro know how ci dimostra che siamo ancora all’avanguardia, ma anche che il tessuto imprenditoriale non è capace di gestire la problematica. Se non daremo vita, negli anni a venire, a un vero sistema multilivello di Intelligence economica e di pianificazione strategica dello sviluppo, saremo destinati a decadere definitivamente.

L’Italia, per garantire l’integrità socioeconomica-territoriale del sistema-Paese, ha urgente bisogno di un approccio serio al problema. Il fatto che il 5G sia stato inserito tra gli ambiti di protezione del golden power rappresenta un approccio sensato. Quest’ultimo farà penetrare la tecnologia ancor di più nella vita quotidiana delle persone e trasformerà i criteri di funzionamento infrastrutturale di un Paese. La sovranità delle singole nazioni sarà legata alla capacità di gestire tutto ciò. Le capacità di dirottamento dei flussi di telecomunicazione dimostrate fino ad oggi da alcune capitali all’avanguardia in questo settore rappresentano degli errori clamorosi dal punto di vista strategico, ma ci permettono di comprendere fin d’ora la portata dei rischi a cui andiamo incontro.

Per la sua posizione geografica e per la sua particolare posizione all’interno dell’Alleanza atlantica, l’Italia non può permettersi scivoloni. Nel 2015 nel mio libro Intelligence economica ho ritenuto che a trent’anni dal crollo del Muro di Berlino nelle relazioni internazionali i Paesi si potessero dividere in tre categorie. Quelli che negli ultimi decenni si sono dotati di una struttura seria d’Intelligence economica, quelli che comprendono la posta in gioco cercando – seppur con un certo ritardo – di implementarla e quelli che rimangono legati a un’economia priva del sostegno dello Stato-strategico e quindi destinati a divenire terra di conquista da parte dei sistemi evoluti.

Con la legge 124/2007 l’Italia si era avviata sulla seconda strada ma, nonostante i costanti avvertimenti del comparto sicurezza, lo Stato non ha dato vita a un sistema istituzionalizzato capace di creare un sistema-Paese adatto all’odierna competizione internazionale.

Tra gli esempi più vividi di best practice legate a nazioni di rilievo globale potremmo citare gli Stati Uniti e la Francia mentre, cinicamente, potremmo sottolineare che esistono anche esempi di worst practice, come ad esempio la Cina, dove l’imposizione agli investimenti esteri di partner locali o il mancato funzionamento dello Stato di diritto nascondono sempre la volontà di controllare la vita e il successo degli investimenti.

L’Intelligence economica è oggi uno strumento ineludibile di gestione del bene pubblico e di organizzazione dello Stato. Lo competizione economica rappresenta uno dei fondamenti dello scontro ibrido contemporaneo. All’Italia rimane poco tempo per riorganizzarsi tentando di recuperare parte del danno autoarrecatosi.

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