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Sergio Fontana: mettiamo le persone al centro

Spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è un errore perché anche in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio lavoro. Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività.
Quest’intervista fa parte della rubrica Innovatori pubblicata su www.robertorace.com.
Uno spazio in cui proviamo a raccontare le storie degli Innovatori, a scoprirne modi di pensare, predilezioni e visioni del mondo. Cercando di capire meglio cosa ci riservano presente e futuro.

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“La storia non si fa con i ‘se’ ma con i ‘nonostante’”: non una vera e propria citazione, ma una sorta di ‘mantra’ quella che ispira Sergio Fontana. Nato a Canosa di Puglia (Bat), nel 1967, da una famiglia con una lunghissima tradizione di farmacisti, farmacista a sua volta, è il primo ad interpretare la professione in chiave imprenditoriale. Nel 2001 fonda la Farmalabor srl, oggi azienda farmaceutica leader nella distribuzione di materie prime ad uso farmaceutico, cosmetico e alimentare, di cui è AD e Presidente. Fontana è anche Amministratore Unico di ECF Italia srl, della Fontana srl, della Sergio Fontana srl e della Farmalabor Serbia d.o.o. Ufficiale paracadutista e docente presso la facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano, ricopre attualmente anche gli incarichi di Presidente di Confindustria Albania e Vicepresidente di Confindustria Bari e BAT. Tra gli encomi ricevuti, nel 2018 è stato insignito per il quinto anno consecutivo del Premio “Imprese per l’innovazione” e, per il secondo anno consecutivo nel 2019, del “Premio dei Premi” istituito dal Presidente della Repubblica.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?
Un innovatore è un curioso, innanzitutto. È colui che interpreta la realtà in maniera creativa. Per me, innovatore è non colui dotato necessariamente di risorse particolari ma chi, con le competenze e gli strumenti che possiede, risponde a specifiche esigenze dell’epoca che vive, scardina le difficoltà in maniera originale ed, anzi, spesso, anticipa i tempi prevedendo quali potrebbero essere le richieste del mercato, presagendo i futuri bisogni e intuendo le possibili soluzioni.
È un problem-solver del quotidiano. È colui che riesce a coniugare un guizzo di genialità con il pragmatismo occorrente per essere davvero artefice del cambiamento.
E’, spesso, colui che, all’inizio dell’impresa, viene definito un visionario. Forse, in parte, lo è.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
Siamo nella quarta rivoluzione industriale, quella in cui la tecnologia domina i processi economico-produttivi: il settore dell’advanced automation ha già portato allo sviluppo di robot in grado di apprendere e stiamo assistendo alla messa a punto di dispositivi in grado di sostituire le naturali capacità umane. Pur in questa digitalizzazione e informatizzazione del processo industriale, io penso che l’elemento più importante per un’azienda sia costituito ancora dalle persone. Sono le persone le risorse più preziose per il successo della società, sempre loro che rappresentano il ‘motore umano’ di ogni azienda e, quindi, la vera chiave del successo di un qualsiasi sistema, che sia una azienda o la società civile. La trasformazione dalla portata più rivoluzionaria che immagino è, quindi, legata allo scambio fra esse.
La storia recente ci insegna che uno dei cambiamenti dalla portata maggiormente rivoluzionaria, almeno per l’Europa, è stato registrato con l’introduzione della moneta unica, l’euro. Parimenti, la prossima innovazione in grado di ‘cambiare il mondo’ la immagino con l’invenzione di un meccanismo di traduzione simultanea da e in tutte le lingue del mondo. Abbiamo abbattuto le distanze fisiche con la possibilità di raggiungere pressoché qualsiasi luogo del pianeta, ma non ancora le distanze culturali, in primis quella fondamentale del linguaggio.
Immaginiamo quanto sarebbe utile e rivoluzionario, specie per il mondo del lavoro, potersi esprimere nella propria lingua d’origine, penso persino a una lingua minore o a un dialetto, ed essere comunque compresi da chiunque e in qualsiasi parte del mondo.

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
Quello di primus inter pares. È da tempo, oramai, che risulta superata l’idea del ‘capo’ come di colui che, dall’alto, impartisce gli ordini. Il leader è, al contrario, colui che riconosce di aver bisogno della squadra e, anzi, si dota delle risorse migliori, anche, anzi soprattutto, di quelle che giudica migliori di se stesso. La leadership, che non è più, insomma, una questione di solo organigramma né è mai autoreferenziale, viene riconosciuta su altri parametri rispetto al passato, come la capacità di creare un ambiente di lavoro in grado di favorire le occasioni di crescita o l’abilità di prendere le decisioni migliori per il gruppo e, naturalmente, di farsi carico anche delle responsabilità che ne conseguono. Il leader è una guida, è colui che ha una vision, sa dove sta andando l’azienda e come condurre i suoi uomini nella direzione che ha individuato. E’ colui che sintetizza nella sua persona i valori societari in cui anche il gruppo si riconosce.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
Se devo pensare a un personaggio fra i tanti le cui vite mi hanno ispirato e che, oggi, danno il nome alle diverse sale dell’azienda, il mio ideale assoluto è Adriano Olivetti. È stato, forse, il primo imprenditore a ritenere che l’innovazione nell’impresa dovesse andare di pari passo con l’etica e l’estetica, affermando il principio per cui una persona che lavora in un luogo bello e stimolante sarà portata a produrre di più. Uno dei primi a puntare sul concetto di ‘welfare aziendale’…
Se devo rispondere con una persona che ho realmente conosciuto, direi, senza indugio, mio nonno materno. Un uomo saggio e molto buono. Una persona unica. Preparava una incredibile pasta al sugo che, ancora oggi, cerco di cucinare come faceva lui per fissarne il ricordo. Da piccolo, facevo carte false per rimanere più tempo possibile con lui. Per seguirlo nei suoi viaggi, una volta scappai addirittura di casa. Mi ha insegnato molto.

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
La speranza quella di lasciare un posto migliore di quello che ho trovato. Parlo di questo pianeta, ovviamente, ma, nello specifico, dell’azienda che ho costruito scegliendo di rimanere nella mia città, a Canosa: il luogo dove sorge l’azienda, il terreno sul quale ho costruito la nostra sede operativa e sul quale ho piantato le vigne e gli ulivi esisterà anche dopo di me. Ecco, io vorrei che la sua storia continuasse anche quando la mia sarà terminata. La paura, beh, che ciò non accada.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
In Farmalabor, abbiamo come core-business la galenica che è la branca che si occupa della preparazione di farmaci personalizzati. Per intenderci, ci occupiamo delle singole esigenze dell’individuo, quelle alle quali la produzione industriale non bada, dovendo ragionare in termini di parametri standardizzati. Il neonato che deve assumere un dosaggio particolare, la persona affetta da una delle malattie rare, lo sportivo al quale è prescritta una cura personalizzata rappresentano una fetta di popolazione troppo ristretta per incontrare l’interesse delle case farmaceutiche. Il nostro progetto di lavoro attuale è mettere davvero le singole persone al centro. Ciò che ho detto per i dipendenti vale anche per i nostri consumatori. Ci impegniamo, insomma, a non dimenticare che qualsiasi innovazione tecnologica possa intervenire, essa non deve mai prescindere dalla salute delle persone e dalla salvaguardia dell’ambiente in cui esse vivono. Per il futuro, mi auguro possa essere lo stesso: mettere le persone prima di tutto.

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare.
Mi fa emozionare aver costruito qualcosa che ha cambiato la vita ad altre persone. Quando assumo qualcuno, penso che una cosa che nessuno di noi dimentica mai è il giorno in cui trova lavoro; quindi, sapere di essere un tassello fondamentale del cammino di qualcuno, beh sì, mi emoziona, ma non solo… Per una nostra precisa politica aziendale, la maggior parte dei dipendenti Farmalabor lavora a tempo indeterminato. Non si tratta di una semplice questione filantropica: io penso che se un dipendente può comprarsi una macchina, mettere su famiglia, accendere un mutuo o, in una parola, percepire la solidità di un posto di lavoro, abbia anche la dovuta serenità per affrontare al meglio la giornata lavorativa. Saprà che quel posto è sicuro, tollererà meglio anche gli sforzi ai quali la professione richiama.
Mi fa arrabbiare chi attribuisce esclusivamente al contesto la percentuale di successo di una impresa. E torniamo alla citazione iniziale. Reputo inutile nascondersi dietro i ‘se’. Trovo più intelligente ragionare al netto dei ‘nonostante’. E’ vero, un contesto favorevole aiuta, tuttavia per avere successo occorrono una serie di fattori: idee vincenti, creatività, pianificazione, strategia ed anche doti personali come resilienza, capacità di adattarsi dinamicamente al cambiamento, intraprendenza, tenacia.
E poi coraggio. Tantissimo coraggio.

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