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Siri e Raggi, l’illusione che le inchieste influenzino ancora il voto degli italiani

Siri

Le Repubbliche passano, qualcuno dice che siamo già nella terza, ma l’assurdo vizio di far politica con le indagini e le sentenze della magistratura resta. D’altronde, la stessa magistratura sembra non essere fuori dal gioco politico come dovrebbe, anzi dà spesso l’impressione di far emergere certe notizie proprio nei momenti in cui lo scontro si fa più duro. La vicenda che coinvolge Armando Siri, sottosegretario leghista ai Trasporti, è venuta fuori proprio nel momento in cui inizia una campagna elettorale europea che si preannuncia molto divisiva per le forze al governo, con il Movimento Cinque Stelle teso a fermare l’erosione dei consensi che si prospetta e a contrastare un alleato che è stato finora l’unico ad avvantaggiarsi del “contratto” da cui nacque l’esecutivo un anno fa.

È in questo contesto che la vicenda è stata subito sfruttata dal Movimento, con il ministro Danilo Toninelli che, con una velocità invidiabile, ha tolto le deleghe al suo sottosegretario. Passo che ha compiuto tenendo all’oscuro Salvini, che lo ha appreso a cose fatte. Poiché non è plausibile che Toninelli abbia agito senza aver avvertito prima il suo capo politico, cioè Luigi Di Maio, il suo gesto è da considerarsi come l’ennesimo sgardo dei Cinque Stelle all’alleato. Sicuramente il più grave, anche in considerazione del fatto che Siri è legatissimo a Salvini. Tanto che quest’ultimo, irritatissimo e furioso, ha fatto presente al premier Giuseppe Conte che in queste condizioni diventa difficile andare avanti.

La ritorsione del leader della Lega non ha tardato: in concomitanza con la pubblicazione di alcune registrazioni in cui Virginia Raggi chiede un falso di bilancio all’ex direttore dell’azienda che gestisce i rifiuti, ha attaccato di nuovo il sindaco di Roma e ha promesso di non votare nel prosimo consiglio dei ministri il decreto che elargisce fondi per la capitale. Il punto politico è però un altro, a mio avviso: perché il Movimento Cinque Stelle non si limita a far emergere le sue differenze rispetto all’alleato, ma lo sta provocando e sta tendendo la corda fino quasi al punto da farla spezzare? Che convenienza ha a far cadere il governo? Pensa davvero a un’alleanza con la sinistra? O pensa che, ritornando all’opposizione, si possa ricostruire tutto di nuovo daccapo? Poiché queste enumerate sono tutte alternative non praticabili, è difficile vedere una razionalità nelle azioni dei pentastellati.

Fra l’altro, da una caduta del governo la Lega avrebbe oggi più possibilità di trarre qualche vantaggio che non il Movimento Cinque Stelle. È vero che la lotta alla corruzione è nel Dna dei pentastellati, ma siamo sicuri che, a un quarto di secolo da Tangentopoli, e dopo tanti evidenti eccessi della magistratura, la risposta giustizialista faccia ancora breccia negli animi degli italiani e porti voti? E che i cittadini non si siano anche accorti del doppiopesismo con cui le forze politiche tutte ne fanno costantemente uso?

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