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Quella di Tridico è una boutade. Per rilanciare l’occupazione si punti sulla produttività

“Lavorare meno per lavorare tutti è solo uno slogan e se vogliamo è un dejavu anche perché laddove è stato sperimentato è stato un fallimento”. Gabriele Fava, avvocato, presidente dello studio legale Fava e Associati, esperto in diritto del lavoro e relazioni sindacali e industriali e già consulente della Commissione finanze della Camera dei deputati boccia “la visione” del neo presidente dell’Inps Pasquale Tridico sulla riduzione dell’orario del lavoro per permettere una maggiore occupazione. “Ricordo che in Francia – prosegue – la legge sulle 35 ore di lavoro è in vigore ma si dovuti intervenire per incentivare i dipendenti delle aziende a lavorare di più. Altro caso molto noto è quello della Germania, dove in un land in via sperimentale, l’orario settimanale è stato diminuito da 35 a 28 ore settimanale per un periodo massimo di due anni con una finalità sociale: assicurare cure agli anziani e ai bambini. Non è quindi una misura generale e definitiva. Diverso è il discorso per i paesi scandinavi dove la disoccupazione è storicamente molto bassa”.

Sta dicendo che un modello come quello ipotizzato dal presidente dell’Inps andrebbe bene dove c’è poco o nulla disoccupazione?

Esattamente è un’idea che ha un senso in un contesto dove c’è il lavoro e si vuole puntare a favorire delle pratiche legate al sociale, ma non come in Italia dove la disoccupazione è ancora a due cifre. Si riduce l’orario di lavoro per permettere l’avanzamento di progetti particolari come una maggiore flessibilità per l’accudimento dei figli, la cura dei propri genitori, di welfare aziendale. Ma lo si può fare laddove il tasso degli inoccupati è basso, certamente non è il nostro caso.

Quindi è un modello impraticabile per il sistema italiano?

Nessun Paese ad alta disoccupazione come leva per creare nuova occupazione si sogna di ridurre l’orario del lavoro! Semmai bisogna aumentare la produttività che è un processo totalmente inverso a quello immaginato da Tridico.

Lo ha detto anche il presidente di Confindustria…

Ma è talmente banale: a parità di stipendio nessuna azienda si sognerebbe mai di fare una cosa simile. In un momento storico come questo una misura del genere finirebbe per aggravare le difficoltà delle imprese.

Perché?

Ridurre l’orario e pagare il medesimo salario non sarebbe mai vista di buon occhio delle aziende perché il ragionamento è che se lavori di meno dovresti anche guadagnare meno. L’azienda che punta alla produttività non penserebbe mai ad una misura simile e tantomeno il lavoratore non accetterebbe mai di guadagnare meno. Diciamoci la verità: non sono questi gli strumenti per rilanciare l’occupazione e, ripeto, chi ha sperimentato questo modello se ne è poi pentito perché non si sono creati posti di lavoro e si sono anche disperse professionalità. Serve altro.

Cosa in particolare?

Puntare alla formazione continua del lavoratore. Le faccio un esempio: nell’era della nuova tecnologia c’è una figura nuova che è sulla bocca di tutti: l’influencer. Ecco ma chi lo forma? Con quali strumenti? Eppure questa sarà una figura chiave nella nuova economia, soprattutto per le aziende che devono posizionarsi nel mercato e promuovere il loro brand. Serve un intervento di natura circolare: impresa-istituzione-tessuto scolastico. Bisogna puntare su questi elementi se si vuole davvero cambiare paradigma.

Ma allora come si spiega questa visione del presidente dell’Inps?

Posso dirlo: una boutade, di chi ha poche idee o comunque realmente efficaci. Niente di più. Si tenta di spolverare qualcosa di visto e rivisto, una tecnica che non va bene all’Italia proprio per i motivi che ho spiegato. La produttività non si aumenta certamente diminuendo le prestazioni lavorative, mi sembra molto logico.

D’accordo ma anche la formazione sembra un progetto a lungo termine cosa si può fare nell’immediato per favorire il rilancio dell’occupazione?

Da esperto del diritto del lavoro le dico una misura semplice: abbattimento del costo indiretto del lavoro – quindi non alla retribuzione base che è costituzionalmente garantita e tutelata – come ad esempio i premi, i bonus, il superminimo. Voci che si possono standardizzare e renderle compatibili a livello globale. Dare alla possibilità all’Italia di essere alla pari degli altri paesi, cosa che attualmente non esiste.



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