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Uno Stato nel quale un cittadino deve pagare per conquistarsi un pezzo di libertà è ancora uno Stato di diritto?

Resta la regina delle domande:
Perché in tutta Europa solo i genitori italiani, dopo aver pagato le tasse, non possono scegliere dove educare il figlio senza dover pagare due volte la libertà?

Non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio. Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi. (qui i dati)

In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie, per finanziare l’istituzione scolastica pubblica, statale o paritaria, prescelta per i loro figli. Ciascuna istituzione scolastica, riceverebbe tante più risorse quanti più studenti riuscirebbe ad attrarre, generando una virtuosa concorrenza a complessivo vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole statali e scuole paritarie sarebbero incentivate a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il sistema della formazione terziaria e con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement, per non perdere le risorse assegnate sulla base delle scelte di famiglie e studenti. Garantite sarebbero, in ogni caso, le piccole scuole di territori disagiati, attraverso l’economia dei mancati sprechi.

In uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità (che si colloca su 5.500 annui per studente), si può garantire la vera libertà di scelta educativa anche ai meno abbienti e non solo alle famiglie che possono permettersi di destinare ulteriori risorse per la scelta di una scuola diversa da quella statale.

Altrimenti si si può figurare un cartello sinistramente evocatore: “Qui disabili e poveri non entrano”, perché lo Stato non vuole garantire il diritto che ha riconosciuto.

Chi si sente legittimato ad alimentare la confusione, altro non fa che discriminare: se ne assuma la propria la responsabilità.

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