L’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma Lewis Eisenberg ha ragione: non si possono accettare le violazioni russe del diritto internazionale, né è possibile pensare al 5G cinese senza interpretarla come una scelta di campo nel nuovo confronto globale. Lo stesso vale per gli F-35, “un sistema d’arma che appare essenziale se si vuole far parte di un’alleanza integrata e interoperabile”. Parola dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri, con alle spalle una lunga carriera diplomatica che lo ha visto, tra gli altri incarichi, rappresentare il Paese in Israele, all’Onu e negli Stati Uniti. Presidente di Cybaze, l’ambasciatore è stato tra i protagonisti dell’evento “Nato at 70 – Present and future challenges”, organizzato a Roma dal Centro studi americani (Csa) e aperto dall’ambasciatore Eisenberg, il quale ci è andato giù pesante su F-35, Cina, 5G e Russia, con riferimenti “chiaramente diretti a tutta la platea e al governo italiano”.
L’ambasciatore americano non ha usato giri di parole sulla Russia, denunciandone il comportamento assertivo e ribadendo che le sanzioni restano “il miglior strumento diplomatico”. Difficile non leggerci un riferimento diretto al governo italiano. Gli Usa ci chiamano all’ordine?
Su Russia e sanzioni l’ambasciatore Eisenberg è andato dritto al punto. Ha ricordato le voci contrarie all’approccio sanzionatorio, chiedendosi se mai sia possibile accettare l’occupazione della Crimea e dell’Ucraina orientale, o considerare legittime le azioni lungo lo stretto di Kerc’ o ancora se sia possibile dimenticare l’attacco perpetuato con armi chimiche sul suolo britannico. Il punto fondamentale è che non si può far finta che i comportamenti di violazione palese del diritto internazionale non avvengano, anche da parte di un Paese che noi riteniamo amico ma che in realtà ci considera avversari. Sappiamo ormai benissimo che, se lasciamo travalicare le linee rosse a grandi Paesi con intenti aggressivi pure sui nostri interessi vitali, si innescano dinamiche ben più pericolose. Lo abbiamo visto dal 2013 in poi, in Siria, nel mar della Cina meridionale, fino alla Crimea, dove l’occupazione russa è secondo molti stata favorita dall’accresciuto senso di libertà generato dal fatto che la linea rossa tracciata da Obama sulla Siria sia stata fatta superare senza ripercussioni.
Eppure, in molti considerano le sanzioni dannose per l’economia italiana.
Certo. Tanto nelle discussioni europee, quanto nei vari incontri bilaterali, un certo settore dello schieramento politico italiano ripete da anni che le sanzioni contro Mosca avrebbero impattato negativamente sulle nostre aziende. Eppure, il calo dell’export verso la Russia registrato nel 2015 e nel 2016 è probabilmente attribuibile alla recessione dell’economia russa, come dimostra l’aumento considerevole attestato negli anni successivi. Ciò vuol dire che le aziende esportatrici, attraverso partnership e triangolazioni, trovano sempre il modo di alleggerire il peso delle sanzioni.
Parole dure da Eisenberg sono arrivate anche sulla Cina, considerato “avversario strategico”. L’Italia ha perso credibilità con il memorandum sulla Via della seta?
Penso di sì. Stiamo perdendo credibilità e stanno aumentando le preoccupazioni da Washington, come mi risulta anche da altre fonti dirette. Non credo che la visita negli Usa del vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio sia stata in tal senso tutta rose e fiori. Sono convinto che la preoccupazione oltreoceano sia ancora forte. D’altra parte, il tema delle telecomunicazioni è entrato e uscito diverse volte dall’intesa, e ancora rimane un nodo irrisolto. Basta guardare quello che è contenuto nei diversi accordi settoriali. Ne cito solo uno: quello tra l’Agenzia spaziale italiana e l’omologa cinese (un’emanazione delle Forze armate) per il satellite Cses-2. Riguarda il campo delle tecnologie satellitari legati alla dimensione cyber oltre che spaziale, anche se l’Asi è uno dei primissimi enti europei per la stretta collaborazione con la Nasa. È facilmente immaginabile la difficoltà degli americani nel vedere uno scambio di esperienze scientifiche, magari con la presenza fisica di tecnici cinesi nel nostro Paese, e continuare parallelamente a pensare che la collaborazione con noi resti affidabile, soprattutto nel campo dello scambio di informazioni.
Le preoccupazioni americane riguardano in particolare il 5G e le telecomunicazioni…
Parliamoci chiaro, su questo è in atto un grande confronto. La tendenza va verso un mondo diviso sulla base delle tecnologie di intelligenza artificiale, 5G e Internet of Things. Una parte di mondo diventerà sempre più coesa, mentre dall’altra ci saranno Cina, Russia e i Paesi europei che questi riusciranno a far gravitare verso di loro con la scusa di tecnologie avanzate, a buon prezzo e controllabili. Eppure, le ultime notizie ci parlano di una controllabilità delle tecnologie cinesi tutt’altro che reale.
Vuol dire che gli Stati Uniti ci stanno chiedendo da che parte stiamo sul fronte tecnologico?
Sì. Chi si occupa di sicurezza sa di dover prendere un orientamento. Siamo a un punto di svolta simile a quello che settant’anni fa spinse l’Italia ad aderire alla Nato per ragioni di fede politica e di condivisione dei valori di democrazia e libertà. Ora, la scelta si ripropone, determinata dalla rapidità dello sviluppo tecnologico e dalla capacità delle tecnologie di modificare le politiche dei governi, le società e la testa delle persone. È una scelta di campo importante che non si fa con i trattati ma nelle decisioni quotidiane, anche nei memorandum of understandings. Le notizie di attualità mostrano che ci stiamo addentrando in una nuova era: dai profitti immensi generati sui nostri dati, si dovrà constatare tra pochissimo il passaggio a un mondo in cui si crea potere politico governando le nostre identità digitali. Non è più una questione di profitto, ma di dominio.
Infine, l’ambasciatore americano è parso confermare la centralità del programma F-35 nel rapporto tra Italia e Stati Uniti. Eppure, dal governo italiano non è ancora arrivata chiarezza sui piani per la partecipazione italiana.
L’ambasciatore Eisenberg ha messo le cose in chiaro. Ha ricordato l’impegno per un sistema d’arma che appare essenziale se si vuole far parte di un’alleanza integrata e interoperabile. È stato molto preciso anche sui ritorni economici previsti per il nostro Paese. Teniamo presente che il Belgio non ha ancora deciso dove assemblare i suoi velivoli, e noi siamo ben piazzati con il centro di Cameri, in provincia di Novara. D’altra parte, sul fronte operativo, gli esperti hanno spiegato a più riprese che i 90 velivoli attualmente previsti per l’Italia sono veramente essenziali per la credibilità del nostro sistema di difesa e di deterrenza. Su questo non si può discutere, anche perché la decisione è stata prese con un orizzonte di lungo periodo. Non si può cambiare scelta a metà percorso, a meno di condizioni diverse che includano la caduta verticale dell’elemento di rischio. In realtà è avvenuto l’esatto contrario, con la crescita esponenziale della minaccia. Non c’è dunque nessun presupposto per rinunciare a un sistema di questo tipo.