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5G, Zte e Huawei. Ecco come si complica la partita delle Telco italiane

telecomunicazioni

C’è grande caos nel mondo delle telecom italiane. Da un lato, gli operatori sono chiamati a corposi investimenti per lo sviluppo del 5G e della rete in fibra. Dall’altro però, lo scenario non è affatto chiaro né sotto il profilo economico né tanto meno sotto quello politico dove ancora tiene banco la questione della “sicurezza” degli investimenti cinesi. La partita è aperta, ma il problema è che la tecnologia non aspetta e l’incertezza non aiuta.

GLI INVESTIMENTI 

Sul fronte economico, gli operatori hanno investito 6,6 miliardi nelle licenze per il 5G. Secondo l’Assotelecomunicazioni sono chiamati ora nuovamente a mettere mano al portafoglio sborsando fra i 22 e i 27 miliardi per investimenti nelle reti 5G e in fibra, oltre a “35-45 miliardi necessari per il “business as usual” fra cui lo sviluppo del 4G che comunque continua “a creare domanda”, come ha spiegato in Parlamento, il numero uno di Asstel, Pietro Guindani. I fondi in questione dovranno venire “dall’autofinanziamento, visto che il limite di indebitamento è stato ampiamente utilizzato”, ha puntualizzato poi il presidente di Asstel. Il dettaglio non è da poco visto che ricavi e margini del settore sono in progressiva compressione. Fra il 2007 e il 2017, il giro d’affari dell’industria è sceso del 25%, i profitti del 30% e i flussi operativi si sono praticamente dimezzati. Come rileva Asstel, gli investimenti invece ancora oggi ammontano al 22% dei ricavi.

UN SETTORE STRATEGICO

Numeri alla mano è evidente che si discute ormai della sostenibilità economico-finanziaria di un settore fortemente strategico non solo per l’impatto socio economico, ma anche per la sicurezza nazionale. Basti pensare che in Italia le telecomunicazioni contribuiscono per il 5% al Pil (circa 90 miliardi l’anno) dando lavoro a 120mila persone. Senza considerare l’indotto. Ma la redditività del capitale investito dagli operatori italiani rispetto agli altri partner europei è di 3,5 miliardi inferiore rispetto al costo del capitale. Per questa ragione, secondo Asstel servirebbero fra i 4 e i 7 miliardi di ricavi addizionali per finanziare il costo del capitale garantendo così la stabilità del settore e degli investimenti. L’industria delle telco spera quindi che il governo possa favorire gli aumenti tariffari attraverso l’Agcom (il cui consiglio sarà peraltro rinnovato a luglio) cui è stato affidato il compito di vigilare e garantire la redditività del settore.

TELECOM ITALIA-OPEN FIBER

Se questo è lo scenario complessivo, non si può non tener conto di casi particolari come la delicata partita di Telecom Italia con il governo che vorrebbe le nozze fra l’infrastruttura di rete dell’ex monopolista e quella di Open Fiber per evitare costose duplicazioni dell’infrastruttura in fibra. Tuttavia la complessità del dossier, soprattutto nella parte relativa alle valutazioni degli asset e nel trasferimento di parte di dipendenti e del debito di Telecom nella nuova società, sta di fatto rallentando gli investimenti complessivi del settore.

5G E LA CINA

A questa problematica, si aggiunge poi anche un altro nodo politico che riguarda le società cinesi Zte e Huawei, grandi protagonisti del 5G in Italia. Con gli Stati Uniti, che hanno bandito le apparecchiature cinesi per questioni di sicurezza, e il governo gialloverde piombato nell’imbarazzo. Non è un caso che le nuove norme sul Golden power, previste nel decreto legge 22, approvato a fine marzo, si prestino ad ampi spazi interpretativi. Il decreto parla di “rischi di un uso improprio dei dati con implicazioni sulla sicurezza nazionale” per il 5G, parla di “attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale” e della necessità di notifica per “stipula di contratti o accordi” relativi alla progettazione delle reti per i soggetti al di fuori dell’Unione. Ma non dà riferimenti puntuali. Il risultato è che, dopo l’asta, lo sviluppo del 5G è al palo. E l’Italia rischia di perdere un treno: secondo Asstel l’adozione delle tecnologie più avanzate nei prossimi dieci anni potrà portare in dote un aumento del Pil da circa l’1%, equivalente a 20 miliardi l’anno. Ma se invece ci fossero dei ritardi, in dieci anni, andrebbero in fumo circa 80-100 miliardi per effetto della perdita di competitività.

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