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Afghanistan, Niger e Tunisia. Il piano del governo per le missioni internazionali

Sulle missioni internazionali serve continuità e, per questo, non è il momento di ritirarsi dall’Afghanistan. Lo ha spiegato alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, in audizione insieme al collega Enzo Moavero Milanesi, all’indomani del clamore generato dalla sfiducia incassata dal suo sottosegretario in quota M5S Angelo Tofalo. A fine aprile, dopo un ritardo piuttosto prolungato, il Consiglio dei ministri a deliberato in merito alla partecipazione dell’Italia per l’anno 2019 alle missioni internazionali in corso e a ulteriori impegni. In quest’ultima categoria figura solo una nuova missione in Tunisia, che va ad aggiungersi ai dispiegamenti attuali, pressoché tutti confermati con poche rimodulazioni. In tutto, si tratta di 46 missioni internazionali con numeri simili al 2018. “Il complesso dei dispositivi – ha spiegato la titolare della Difesa – ci porterà nel 2019 a schierare un numero massimo di circa 7.358 donne e uomini, con una presenza media nel corso dell’anno di circa 6.304”.

CONTINUITÀ E RIMODULAZIONE

La parola d’ordine è continuità, fondamentale nella politica estera di ogni Paese e nella sua espressione di politica di difesa. “La rimodulazione non è una negazione della continuità”, ha detto la Trenta, pur notando che essa “non significa però immobilismo, perché le cose cambiano e la Difesa da un punto di vista operativo deve fare delle scelte”. Ciò riguarda in particolare l’Africa, che “era stata trascurata” e da cui “stanno arrivando le maggiori sfide”, ragion per cui “si chiede anche a noi un ruolo maggiore”. Su tutto questo “non esistono visioni diverse, ma ruoli differenti” con il ministero degli Esteri guidato da Moavero Milanesi, ha garantito la Trenta. “Come prima cosa, quando sono arrivata al governo, ho chiesto di riattivare un tavolo Esteri -Difesa; tutte le nostre attività sono coordinate e vanno viste in maniera congiunta”. In tal senso, la priorità resta la stabilizzazione della Libia, ancora alle prese con un quadro di difficile soluzione.

NUOVA MISSIONE IN TUNISIA

Per quanto riguarda il nuovo impegno, “il governo – si legge nel documento presentato alle Camere dal ministro Fraccaro – intende concludere la partecipazione italiana alla missione Nato di supporto in Tunisia e avviare per l’anno 2019 una missione bilaterale di cooperazione in Tunisia”. Avrà l’obiettivo di fornire supporto per la costituzione di tre comandi regionali – i cosiddetti Centre conjoint de planifìcation e de commandement des operations, o Ccpco – a cui sarà affidato il compito di gestione delle attività di controllo del territorio. Saranno guidati dall’Esercito tunisino e dislocati al nord, al cento e al sud del Paese, con capacità di pianificare e condurre operazioni joint di contrasto al terrorismo e controllo delle frontiere. Per supportare la creazione di tali comandi, vista l’intesa con Tunisi, il governo italiano ha proposto un impiego massimo di 15 militari, con un fabbisogno finanziario per l’anno in corso che supera di poco i due milioni di euro.

SI RESTA IN AFGHANISTAN

Nonostante i proclami di Trump su un eventuale ritiro dall’Afghanistan, e sebbene proseguano i negoziati di pace con il coinvolgimento dei talebani, la deliberazione del governo italiano prevede un impiego massimo di 800 militari anche per il 2019, con la riduzione di un centinaio di unità rispetto allo scorso anno già annunciata ed effettiva nella precedente proroga relativa agli ultimi mesi del 2018. L’Italia, ha spiegato la Trenta alle commissioni, “non può andare via e basta”. D’altra parte, ha aggiunto, “in ambito Nato abbiamo detto che tutti insieme siamo arrivati e che tutti insieme andremo via: ci dobbiamo coordinare per farlo”. Così, “dobbiamo restare almeno fino alle elezioni e poi dobbiamo vedere quello che succede; se le condizioni dovessero cambiare velocemente, abbiamo delle responsabilità nei confronti dell’Afghanistan e dei nostri uomini che si trovano lì; se gli Usa dimezzassero all’improvviso la loro presenza, diventerebbe rischioso e pericoloso restare nelle condizioni attuali nelle basi dove siamo”.

I NUMERI

I soldati italiani operano nell’ambito della missione Nato Resolute Support, con compiti prevalenti di training e advising e una partecipazione che ha garantito al nostro Paese grande apprezzamento e conseguente credibilità da sfruttare anche in altri contesti (pure politici) dell’Alleanza Atlantica. In ogni caso, si legge nel documento governativo, “per il 2019 il contributo nazionale sarà progressivamente ridotto, comunque non prima della conclusione del processo elettorale per la nomina del nuovo presidente (si voterà a fine settembre, ndr) fino ad un numero massimo di personale in teatro operativo pari a 700 unità entro la fine del mese di luglio 2019”. Resta dunque l’intenzione di valutare una rimodulazione, ma anche di “confermare il nostro ruolo di Framework nation, continuando a contribuire alla missione nel contesto dell’ampio e variegato sostegno del nostro Paese agli sforzi per assicurare stabilità, pace, democrazia e sviluppo in Afghanistan”.

L’IMPEGNO IN NIGER

C’è anche la conferma per la missione bilaterale di supporto al Niger, sebbene si riduca il numero massimo di unità dispiegabili. Per il 2018, era stato previsto un massimale di 470 unità, in realtà mai raggiunto. “La missione, pianificata sulla base delle richiesta avanzate dalle autorità nigerine, avrebbe dovuto svilupparsi, nel corso del 2018, mediante un impiego di personale fino a 120 unità nel primo semestre e fino a un massimo di 470 unità entro la fine dell’anno”, spiega il governo. “Tuttavia, nel corso dei primi nove mesi del 2018, le stesse autorità, principalmente per problemi politici interni connessi con una particolare sensibilità dell’opinione pubblica sulla presenza di contingenti stranieri all’interno dei confini del Niger, hanno rallentato il processo di afflusso del personale militare italiano con la mancata sottoscrizione di alcune delle note verbali sullo stazionamento”. Per questo la partecipazione nel periodo ottobre-dicembre 2018 ha avuto una presenza media più bassa, pari a circa 40 unità. Attualmente sono nel Paese 70 militari italiani, mentre la proroga proposta ne prevede un massimo per il 2019 di 290. “I nostri militari – ha rimarcato la Trenta – si dedicheranno in risposta alle richieste nigerine alle attività formative delle Forze di sicurezza e delle istituzioni governative, per accrescerne le capacità di controllo del territorio e delle frontiere, e consentire un efficace contrasto sia ai traffici illeciti che alle minacce alla sicurezza di più ampia portata”.

SE MANCA L’ACCORDO SU SOFIA

Nel frattempo, la differenza di vedute sui temi migratori nel Vecchio continente continua a mantenere in stallo la missione EuNavForMed Sofia. “In questo momento ha navi ferme ma disponibili – ha notato la Trenta – poiché non c’è ancora un accordo a livello europeo”. La dimostrazione, ha aggiunto, è che “le navi italiane continuano a svolgere il loro ruolo e noi continuiamo a lavorare con Mare Sicuro; speriamo di poter arrivare a un accordo”. Eppure, “il problema dei flussi migratori non può essere considerato un problema italiano, ma è una grande minaccia globale. È una questione che va affrontata non solo dall’Italia, ma prima di tutto dall’unione europea. Speriamo – ha detto concludendo – di poter di incrementare di nuovo l’attività di Sofia che deve essere sempre più operativa, non solo per il traffico di armi, ma anche per quello del petrolio che è grande fonte di instabilità soprattutto per quanto riguarda la Libia”.



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