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Tra Ankara e Washington c’è una relazione complicata

Di Stefano Stefanini

Ankara e Washington sono legate a doppio filo strategico. La Turchia è pedina indispensabile della Nato, sia nei confronti della Russia sia nello scacchiere mediorientale e mediterraneo. Senza Nato e senza Usa, Ankara è sola e vulnerabile in un vicinato difficile, circondata da potenze concorrenti se non ostili e da focolai d’instabilità. L’acquisto da parte della Turchia delle batterie antimissilistiche russe S-400 incrinerebbe quest’asse portante della sicurezza nazionale e atlantica.

Non è in gioco l’appartenenza alla Nato. L’Alleanza può probabilmente sopportare lo strappo, anche se con tensioni e difficoltà di collaborazione sul terreno. Va però in crisi il partenariato strategico turco-americano. A parte altre criticità, da Fethullah Gülen esule in Pennsylvania ai diritti umani e libertà d’informazione sotto la presidenza Erdogan, l’acquisto degli S-400 recide un cordone ombelicale con Washington nei sistemi d’arma avanzati, nell’alta tecnologia, nell’industria della difesa. Il danno è reciproco. Il gran perdente è la Turchia. Recep Tayyip Erdogan sembra deciso a procedere.

Non si deve fare illusioni sulle conseguenze. Quelle immediate comportano l’esclusione della Turchia dal programma dei caccia-bombardieri F-35 sia dalla fornitura dei velivoli sia dalla partecipazione dell’industria aeronautica turca con ritorni monetari e tecnologici. Erdogan punta sul suo rapporto, fra alti e bassi, con Donald Trump. Ha appena inviato a Washington il ministro delle Finanze, Berat Albayrak, che è stato inusualmente ricevuto alla Casa Bianca. Ne è uscito col messaggio che è possibile “evitare la rotta di collisione” in quanto Trump avrebbe ascoltato positivamente i motivi per cui la Turchia “ha bisogno degli S-400”.

Si sbaglia. Si sbaglia se pensa, e se il suo presidente pensa, che la Turchia possa avere le batterie anti-missile russe senza una pesante reazione americana. Donald Trump e la Casa Bianca potranno (forse) chiudere un occhio, ma non avrebbero la mano libera. È una questione di sicurezza nazionale. Il Pentagono è stato esplicito. Il vice presidente Mike Pence pure: “Non staremo a guardare mentre alleati Nato acquistano armi dai nostri avversari”.

Pence finisce sempre con allinearsi col suo presidente, ma in questo caso il messaggio di Washington è univoco. La Turchia ha un ordine di 30 F-35 e prevede di acquistarne 100. Gli sono stati consegnati i primi due che si trovano in addestramento in Arizona. Non arriveranno mai in Anatolia, a meno che Ankara non faccia il passo indietro. Sono già state sospese le forniture di componenti. Il Congresso, bipartisan, è stato adamantino: la Turchia non può avere gli S-400 e gli F-35. Deve scegliere. Ankara è giunta a un bivio che era finora riuscita ad evitare.

Dall’inizio della crisi siriana la Turchia persegue infatti una politica di “alleanze flessibili”. Con un certo successo. Gliel’hanno imposto le circostanze: Ankara si è trovata a ridosso di una guerra in corso, con un’ondata d’immigrazione che fa impallidire gli sbarchi che angustiano l’Italia, costretta a navigare fra Russia, Iran, regime di Assad e altre potenze regionali, alle prese con uno Stato islamico (solo ora defunto). Considera una minaccia l’Ypg curdo, appoggiato dagli americani in funzione anti-Isis e anti-Assad; in Siria nord-orientale Usa e Turchia sono in campi obiettivamente opposti.

L’appartenenza alla Nato, per oltre mezzo secolo baluardo della sicurezza turca, come della nostra, non poteva bastare. L’Ue aveva tirato i remi in barca. La Turchia si è trovata da sola. Erdogan ha aggiunto più di un tocco di arroganza e di nostalgia ottomana che si sarebbe potuto risparmiare, ma essenzialmente la politica estera turca aveva bisogno di geometrie variabili per adattarsi a una situazione di particolare difficoltà. Questa flessibilità ha servito bene gli interessi turchi. Con gli S-400 tuttavia l’elasticità arriva a un punto di rottura. Se il presidente Erdogan procede con l’acquisto, non perde solo gli F-35. Perde il filo diretto con Washington – con qualsiasi amministrazione Usa – e si marginalizza nella Nato. La scelta è solo sua.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche N° 147)

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