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Le armi all’Arabia e il banco di prova Lega-M5S sull’export militare

Tra i nodi da sciogliere nel rapporto Lega-M5S c’è l’export militare verso l’Arabia Saudita, al centro di un botta e risposta tra le due compagini di governo durante la campagna elettorale europea e destinato ad approdare alla Camera il prossimo 17 giugno.

NOTIZIE DA DOHA

Intanto, la notizia che rischia di riaccendere il dibattito è arrivata ieri da Doha, in Qatar, dove il quotidiano Al Sharq ha rilanciato le denunce degli attivisti di Human Rights Watch sull’export militare tedesco verso Riad. Secondo quanto scritto dal giornale, i sauditi starebbero aggirando il divieto parziale imposto dalla Germania sulla vendita di armi realizzate dall’industria nazionale ricorrendo alla produzione di Rwm Italia, società di proprietà della tedesca Rheinmetall, ma con sede a Ghedi, in provincia di Brescia, e con uno stabilimento in Domusnovas, nel cagliaritano. Il tema è noto alla cronaca italiana. La nuova puntata è prevista per il 17 giugno, data fissata ieri dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio per la discussione in aula (e successiva votazione) della mozione che chiede lo stop dell’export degli armamenti verso l’Arabia Saudita.

UNA MOSSA DEL QATAR?

Un paio di settimane fa, i riflettori si erano riaccesi sul dossier per le proteste di alcuni lavoratori del porto di Genova contrari all’attracco della nave saudita Bahri Yanbu perché forse contenente materiali militari, sulla scia di simili rimostranze prima arrivate al porto francese di Le Havre. Ora, il rilancio di Al Sharq potrebbe alimentare nuovamente il dibattito, soprattutto in vista della discussione alla Camera. Occorre però fare attenzione. Il quotidiano arabo è particolarmente vicino al governo del Qatar, i cui rapporti con l’Arabia Saudita sono logori da tempo. In tal senso, non sarebbe una novità da parte di Doha il ricorso a pressioni sul campo dei diritti per attività di rappresaglia contro Riad, magari alimentato sentimenti negativi nei confronti dei sauditi anche all’interno dei Paesi europei.

LE DISTANZE NELLA MAGGIORANZA

In ogni caso, il dibattito italiano sul tema potrebbe subire un inversione di tendenza rispetto a prima del voto del 26 maggio, complice il ribaltone dei rapporti di forza in seno alla maggioranza. L’export militare era stato uno degli argomenti di contrasto tra la Lega e alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle alla vigilia delle elezioni per l’Europarlamento, con la prima a promuovere un più deciso supporto all’export, e i secondi a conservare una tradizione che vide già nel 2015 un’interrogazione nelle due Camere sulla questione della vendita di armi italiane destinate allo Yemen. A metà maggio, il senatore pentastellato Gianluca Ferrara ha dunque chiesto un’interrogazione per sospendere la vendita di armi a Paesi come l’Arabia Saudita.

LA SPINTA DELLA LEGA

La risposta dagli alleati di governo è arrivata con una proposta, da tempo auspicata dal settore, per un supporto strutturato all’export, attraverso la creazione di una cabina di regia insediata a palazzo Chigi. Primo firmatario il deputato leghista Roberto Paolo Ferrari che su queste colonne aveva mandato un messaggio al M5S: “Cari amici pentastellati, un nostro atteggiamento rinunciatario nel mercato mondiale dei materiali d’armamento non assicura la pace, perché si può combattere anche con i machete che negli anni Novanta fecero mezzo milione di morti nella regione africana dei Grandi laghi”. Sul tema era intervenuto lo stesso Matteo Salvini: “Quanto al disarmo, non è utile, sarebbe un suicidio economico, e poi il settore difesa è strategico per i prossimi cinquant’anni. Un Paese disarmato è un Paese occupato e occupabile; noi abbiamo una diversa posizione su questo rispetto al Movimento 5 stelle”.

L’EXPORT COME NECESSITÀ

I rischi per il comparto produttivo italiano, derivanti da un approccio ideologico all’export, sono stati illustrati anche da Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali e già consigliere del ministro della Difesa: “Il disorientamento della nostra opinione pubblica credo che sia dovuto anche al fatto che non c’è la consapevolezza che le nostre imprese devono esportare per poter avere un ritorno sufficiente che giustifichi gli elevati costi di sviluppo dei nuovi sistemi di difesa, oltre che per poter garantire alle nostre Forze armate prodotti a prezzi competitivi e nel tempo anche parti di ricambio e supporto logistico”. Quindi, ha aggiunto l’esperto, “per noi esportare non è una scelta, ma una necessità. Poi ovviamente si può discutere a quali paesi esportare, ma allo stato attuale l’Arabia Saudita è uno dei Paesi con cui è possibile”.

TRENTA PICCHI A SETTEMBRE

Una prospettiva già illustrata dal sottosegretario agli Esteri in quota Lega Guglielmo Picchi, quando lo scorso settembre intervenne in un’altra puntata del dibattito sulle armi all’Arabia Saudita. Rispondendo al ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che aveva chiesto un resoconto dell’export militare a Riad, Picchi: “Il processo autorizzativo italiano per export di materiali difesa con l’Arabia Saudita è rigoroso e coinvolge pienamente il ministero Difesa. Se cambia l’indirizzo politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale”.

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