Fra le tante discussioni oziose che hanno impegnato molte intelligenze a metà dell’anno scorso, quando il caro-spread tornò ad agitare il dibattito pubblico come d’altronde sta capitando di nuovi adesso, i più di noi ricordano quella vagamente stucchevole sull’effetto che lo spread in rialzo poteva avere sul costo dei mutui. Inutile ripercorrere qui gli argomenti dell’epoca. Molto più utile invece osservare un grafico diffuso da Bankitalia nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria.
La curva rossa del grafico di destra, mostra con chiarezza che dalla seconda metà dell’anno scorso il costo dei mutui decennali a tasso fisso è in lieve crescita – Bankitalia calcola l’incremento in 50 punti base – a differenza di quello a tassi variabili che si mantiene costante. Aldilà della quantità di tale aumento, tutto sommato contenuto, sono le motivazioni alla base che sono interessanti da analizzare.
Bankitalia ipotizza che tale movimento rifletta “l’esigenza degli intermediari di compensare l’incremento del costo della raccolta obbligazionaria”. Detto in altri termini, le banche pagano più caro il loro debito e tendono a trasferire questo maggior costo sui debitori più stabili e teoricamente solidi, ossia le famiglie. Il fatto che vengano privilegiati i mutui a tasso fisso può dipendere da diversi fattori, non ultima la circostanza che “congela” il costo per il debitore e quindi anche il ricavo per la banca, che perciò diventa un elemento di stabilità del suo conto economico. Oltre al fatto che i mutui a tasso fisso sono quelli più richiesti.
Le famiglie però non rimangono indifferenti. A fronte di costi crescenti per il tasso fisso è del tutto normale che tornino a guardare ai tassi variabili. E in effetti si è osservato che “la quota dei nuovi mutui a tasso predeterminato per almeno dieci anni si è ridotta dal 66 al 63 per cento”. Il rischio è che “qualora il divario di costo tra i finanziamenti a tasso fisso e quelli a tasso variabile continuasse ad ampliarsi, la ricomposizione verso i mutui a tasso variabile potrebbe procedere rapidamente, come accaduto nel 2009, accrescendo l’esposizione delle famiglie ai rischi di futuri rialzi dei rendimenti di mercato”.
Senonché, se guardiamo il grafico di sinistra, che traccia l’andamento dei prestiti per l’acquisto di abitazioni, osserviamo che domanda e offerta si sono incontrate a un livello sostanzialmente piatto. Il mercato dei mutui ha chiuso il 2018 con un andamento vagamente stagnante che fa il paio con quello del mercato immobiliare, ancora molto lento, specie se ci confronta con quello europeo.
La crescita delle compravendite, infatti, non è riuscita a ridare ossigeno ai prezzi, che rimangono declinanti e anche le compravendite, a ben vedere, non riescono a recuperare il livello pre crisi.
Ricapitoliamo: lentamente, com’era prevedibile, il costo dello spread si sta trasferendo sulla domanda dei mutui, che declina, almeno relativamente al segmento dei tassi fissi dove l’aumento è già percepibile. Questo genera un aumento di rischio finanziario e probabilmente contribuisce ad abbassare la temperatura in un mercato già abbastanza freddo. I teorici della neutralità dello spread sui mutui forse dovrebbero riconsiderare la loro sicumera. Ma d’altronde sono gli stessi per i quali il debito non è un problema.
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