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Conad-Auchan e Fca-Renault, la vera partita è globale e noi europei dobbiamo giocare nella stessa squadra

Due grandi operazioni di consolidamento – una definita, Conad-Auchan; l’altra, Fca-Renault, in fase di approvazione, con possibile estensione a Nissan – ci riportano ai temi reali del nostro Paese, dopo mesi trascorsi a guardare i duellanti al governo e dopo una lunga campagna elettorale europea.

MINACCE E OPPORTUNITÀ

Cosa accomuna le due operazioni? Grande distribuzione e automotive sono settori tradizionali, con alto numero di occupati, di cui una parte significativa ha competenze medio-basse. Settori che in tutto il mondo devono ricercare incrementi di produttività tramite il consolidamento delle funzioni di staff, la razionalizzazione dell’offerta, la produttività degli stabilimenti o dei punti vendita. È un percorso inesorabile, sulla cui direzione ben poco possono intervenire le politiche pubbliche.

Dietro l’apparente logica del “business as usual” si scorgono tuttavia minacce e opportunità legate a innovazioni che, anche nei settori tradizionali, stanno cambiando le regole del gioco e trasformeranno nell’arco di alcuni anni le gerarchie di leadership, la distribuzione geografica del valore aggiunto, i redditi di milioni di persone.

Il mondo dell’auto sta per entrare nella fase dell’alimentazione elettrica e della guida assistita, due rivoluzioni che concentrano su nuove componenti chiave (semplificando: batterie, sistemi di connettività e realtà aumentata) il potenziale d’innovazione e di sviluppo. L’industria automotive italiana si è trasformata nell’ultimo decennio, acquisendo posizioni importanti nella componentistica, diversificando i mercati di sbocco, occupando orizzontalmente le filiere, uscendo dalla mono-cultura Fiat. Ma la scala della competizione è globale: la leadership nelle nuove tecnologie-chiave pare oggi essere cinese e americana.

IL RUOLO DELLE NOSTRE AZIENDE

L’Europa ha necessità di recuperare il ritardo accumulato, e avrebbe le competenze e le capacità per farlo. È fondamentale però che i player europei concentrino le azioni strategiche, e in questo senso un’alleanza/fusione tra Fca e Renault/Nissan potrebbe portare a un’accelerazione. Senza dimenticare i possibili impatti sugli stabilimenti italiani, è fondamentale comprendere quale posto avranno le nostre aziende di componenti nelle nuove filiere e gestire eventuali processi di riconversione del personale nella direzione di sviluppo delle nuove competenze necessarie. Peraltro c’è carenza di figure specializzate nei settori della meccatronica. Anche il cosiddetto polo del lusso va meglio definito, soprattutto per capire con quali risorse e competenze manageriali si farà fronte ad esigenze di ‘customer care’ elevatissime che i clienti di tale fascia sicuramente pretenderanno.

Per quanto riguarda Conad-Auchan, pensiamo spesso alla grande distribuzione come a chilometri di scaffali, file di Tir, urbanizzazione di periferie urbane. Ma in modo sottile e pervasivo la tecnologia sta penetrando nel cuore della distribuzione, mutandone il concetto: il marketing personalizzato, la visualizzazione dei prodotti, la scelta, l’ordine, la programmazione dei flussi sono fortemente digitalizzati e completeranno il percorso in pochi anni. La consegna porta-a-porta sta trasformando i flussi logistici, la decentralizzazione e specializzazione delle unità di vendita è assistita da sistemi di analisi sempre più sofisticati. Come per l’auto, la componente fisica rimane centrale, ma è ormai inserita in un tessuto tecnologico che determina in larga parte i valori economici.

Nemmeno in questo caso appare evidente una leadership europea, mentre gli Stati e i soggetti regolatori sono più impegnati ad applicare concetti antitrust che rischiano di diventare superati e principi di concorrenza difficilmente applicabili alle aziende-piattaforma senza penalizzare il consumatore.
L’operazione di acquisto di Auchan da parte di Conad si può leggere come tradizionale processo di consolidamento, ma può anche diventare l’opportunità per sviluppare un player nazionale e continentale orientato all’innovazione. Partendo da un modello cooperativo d’imprenditorialità diffusa, per sua natura più adattabile a contesti territoriali molto variegati, rispetto a quello “industriale” dell’ipermercato di derivazione francese, potrebbe portare nuovo dinamismo e investimenti in tecnologie di vendita e distribuzione, destinate a fare la differenza.

LE SFIDE DEI MANAGER

In questo contesto i nostri manager hanno di fronte sfide impegnative: sia per quelli che si trovano a gestire la transizione e guideranno nuove aziende più grandi e, si spera, più competitive, che per coloro che saranno obbligati a una riconversione. È importante che non si disperda il capitale umano specializzato di cui sono portatori, già scarso nel nostro Paese. Le organizzazioni di rappresentanza manageriale sono al loro fianco, con enti di formazione e iniziative di supporto, per facilitare questo processo.
Ma il ragionamento vale per tutti, tanti, lavoratori coinvolti. E anche per i 1.800 che stanno vivendo la crisi infinita di Mercatone Uno. Ci accorgiamo in modo drammatico di quanto sarebbe stato necessario disporre già di un sistema sviluppato e rodato di politiche attive, in grado di mobilitare risorse pubbliche e private. I ritardi del governo precedente e la pretesa di ripartire da zero di questo rischiano di costarci cari.

COSA CHIEDIAMO AI GOVERNI

Chiediamo ora ai nostri governanti un periodo di grande concentrazione su questi temi, cruciali per milioni di concittadini. Di farlo senza posizioni ideologiche, rinunciando a un protagonismo che potrebbe portare a risuscitare il capitalismo di Stato. Non mancano i capitali, serve invece indirizzare le imprese verso una rapida crescita del lavoro di qualità, serve garantire flessibilità nell’ambito di una contrattazione collettiva inclusiva, che arricchisca invece di tagliare il welfare, accettando la logica collaborativa tra pubblico e privato organizzato. Serve il supporto delle organizzazioni di rappresentanza, di manager, altri lavoratori e imprese, obbligandole a guardare al futuro, allo sviluppo di nuova occupazione, senza difendere a oltranza l’indifendibile.

Nella trasformazione dei settori tradizionali ci giochiamo la partita europea: senza accelerare saremo condannati alla marginalità, ma lasciando indietro i lavoratori (e i territori degradati e intristiti dalle strutture dismesse) rischiamo di alimentare ulteriori paure e di approfondire un solco impossibile da colmare.
La vera partita è globale, noi europei dobbiamo giocare nella stessa squadra. Non abbiamo chance di successo senza una politica comune, che abbandoni la competizione tra Stati.

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