Dobbiamo credere o no ai sondaggi elettorali? Sono affidabili? La prova di validazione, che sarebbe la via maestra per rispondere alla domanda, ci offre risposte contraddittorie. Almeno in Italia, a volte i sondaggi si sono mostrati attendibili e altre volte no. La scienza demoscopica ha molto affinato col tempo i suoi strumenti, ma il margine di imprevedibilità resta molto alto.
Da un punto di vista filosofico, si potrebbe dire che ciò è un bene: significa che l’uomo dopo tutto conserva una sua assoluta libertà, anche fra quella che dice o pensa di fare e quello che effettivamente fa. Da un punto di vista più pratico, bisogna però dire che il valore performativo dei sondaggi elettorali è ormai indubbio. Significa che essi sono ormai un elemento del dibattito e, per il solo fatto di esistere, determinano comportamenti e cambiano i rapporti di forza fra gli attori della politica.
Quello che ultimamente essi attestano è una sempre più grande mobilità dell’elettorato, che dà e toglie consensi con una rapidità impressionante. Non esistendo più lo zoccolo duro delle ideologie, né stabili blocchi sociali di riferimento, è abbastanza naturale che l’elettore scelga in base a interessi concreti o agli umori del momento. Un elemento però a me sembra indubitabile: gli elettori italiani vogliono cambiare, non sanno come e nemmeno in che senso ma vogliono voltare pagina rispetto all’esistente. Giusta o sbagliata che sia questo diffusa esigenza, è da essa che bisogna partire per capire la situazione in atto.
La fortuna del Movimento Cinque Stelle e della Lega, come già prima quella di Renzi, si colloca su questo fronte che potremmo definire in senso lato di “rottamazione”. E su di esso, gli attori in campo vengono costantemente giudicati. Il fatto è che questa esigenza diffusa si scontra con la vischiosità della forma di Stato e del sistema politico che si è creato nel tempo in Italia, nonché d’altro canto con la frammentazione e corporativizzazione degli interessi di gruppo sedimentatisi.
Mettere in pratica certe idee, più o meno buone, è spesso impossibile proprio per questa impermeabile resistenza del sistema. Il quale assorbe e fagocita anche gli esperimenti più radicali. Se Salvini è in netta flessione, ammesso che lo sia effettivamente, molto dipende io credo dalla difficoltà avvertita dai più sulla concreta realizzazione del suo programma, persino per la parte per cui più si è battuto: il controllo e la gestione dei flussi migratori. Difficoltà a cui lo inchiodano da un po’ persino i comportamenti dei suoi alleati/avversari di governo, che devono di necessità ora arginare il suo attivismo.
Se i Cinque Stelle sembrano recuperare, è perché accreditano l’immagine di nuovo attivistica e radicale che un anno di governo aveva appannato. Certo, per farlo, devono in questo momento insistere molto sugli elementi di “sinistra” della loro ideologia “trasversale” ma sarebbe un errore pensare, a mio avviso, che la convergenza su molti punti con il Pd di Zingaretti possa far maturare qualcosa di sostanziale. Il fatto è che Zingaretti, con la sua idea tradizionale e “seria” di sinistra, non scalda i cuori. Una fetta di elettorato residuale il Pd lo continuerà ad avere, e ad esso si aggiungeranno anche molti che non trovano alternative valide al governo. Detto ciò, non credo però che il Pd possa aspirare a molto dii più se non inventandosi un guizzo originale e anche un po’ “populistico”. Francamente non mi sembra che ciò sia nelle corde del nuovo segretario.