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Lo scontro tra Guaidó e Maduro nell’ambasciata venezuelana (senza luce) di Washington

Venezuela

Lo scontro tra i sostenitori di Juan Guaidó e Nicolás Maduro è arrivato a Washington. Non solo per l’impegno dell’amministrazione di Donald Trump nel trovare una soluzione alla crisi del Venezuela. Da settimane, gruppi di venezuelani si scontrano nella sede diplomatica nel quartiere Georgetown della capitale americana.

Tutto è cominciato quando un gruppo di attivisti statunitensi si è trasferito nel palazzo di cinque piani per “evitare che gli Usa facciano una guerra”. I membri dell’organizzazione Code Pink hanno “occupato” l’ambasciata venezuelana, secondo loro su invito del presidente Nicolás Maduro, e per opporsi a qualsiasi intervento militare americano nel Paese americano.

I rappresentanti del governo ad interim di Juan Guaidó, il leader riconosciuto come capo dello Stato venezuelano dagli Stati Uniti e altri 50 Paesi, erano pronti a prendere il controllo dell’ambasciata. Dal momento dell’occupazione chavista, i sostenitori di Guaidó si trovano alle porte del palazzo per fare pressione contro l’occupazione illegale.

Sono state montate delle tende e ci sono stati scontri fisici che hanno provocato l’arresto di nove persone, da parte di agenti dei servizi segreti americani. Mercoledì sera l’impresa Pepco ha tagliato il servizio elettrico all’intero palazzo ed è stato impedito l’ingresso di alimenti. “Dovranno vivere senza luce, senza acqua e senza cibo, come vivono molte persone in Venezuela per colpa di Maduro”, ha dichiarato uno dei manifestanti pro-Guaidó alle porte dell’ambasciata.

A gennaio, Maduro aveva richiamato tutto il personale diplomatico e consolare negli Stati Uniti, ma Carlos Vecchio, ambasciatore nominato da Guaidó e riconosciuto dalla Casa Bianca, non è riuscito ad entrare.

Nessuno però è entrato per fare uscire gli occupanti dell’ambasciata. Mentre i sostenitori di Maduro dicono che sarebbe una violazione ai trattati internazionale sulla protezione della sovranità delle missioni diplomatiche, quelli di Guaidó spiegano che le normative non sono applicabili per un governo non riconosciuto dagli Stati Uniti.

“Non sono prigionieri, possono uscire e mangiare fuori – ha raccontato Gabriela Febres, una giovane venezuelana che da 10 giorni presidia l’ambasciata -. Possono protestare, ma anche noi possiamo farlo. Non dentro l’ambasciata. Possono andare al Campidoglio o esprimere il loro scontento con Trump”.

I vicini del quartiere, con case tipiche di mattoni e ville di milioni di dollari, guardano increduli lo scenario. “Lo straordinario stallo della situazione – si legge sul quotidiano The New York Times -, rappresenta una sfida per le autorità locali e il governo di Donald Trump, e trasforma l’ambasciata in un simbolo della grave crisi che colpisce il Venezuela, dove i sostenitori di Maduro mantengono il controllo nonostante gli sforzi dell’opposizione e degli Stati Uniti”.

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