Molti commentatori pensavano di aver ascoltato l’ultimo discorso del califfo. La pretesa russa del 2017 di aver “incenerito” Abu Bakr Al-Baghdadi e le voci di un colpo di stato tra le fila dei combattenti Isis sfollati, hanno dovuto fare i conti con il non così trionfante ritorno televisivo del leader-eremita. Invece di salire sul pulpito della Moschea di Al-Nuri a Mosul, Baghdadi, a quanto pare, è sceso in un bunker senza finestre. Da lì ha riaffermato il suo comando sullo Stato islamico che ha promesso di riprendere in mano e ricostruire.
Nella sua apparizione del 29 aprile 2019, la prima in cinque anni, Baghdadi è stato chiaro. Ha riconosciuto la sconfitta dell’Isis a Baghuz e affermato che il modo in cui è stata combattuta la battaglia ha dimostrato “la ferocia, la brutalità e le cattive intenzioni dei cristiani nei confronti della comunità musulmana”, omettendo, naturalmente, gli stupri e gli omicidi in Iraq e in Siria e le fosse comuni rinvenute nelle terre che un tempo appartenevano all’Isis. Baghdadi ha elogiato i bombardamenti pasquali nello Sri Lanka, che hanno ucciso circa 250 persone, definendoli “parte della vendetta che attende i crociati e i loro scagnozzi”, e l’ha collegata all’espulsione dell’Isis dalla Siria.
Il video è arrivato in un momento particolarmente interessante. L’Isis è stata, in gran parte, liquidata come nota a piè di pagina – anche se rabbiosamente aggressiva – nell’attuale scena politica regionale. La perdita di territorio ha anche segnato la perdita di rispetto da parte dei jihadisti ancora in circolazione. Al Qaeda e un assortimento di gruppi di Fratelli Musulmani sostenuti dalla Turchia (Ahrar Al Sham) e l’organizzazione iraniana Al Badr in Iraq hanno riciclato i combattenti dell’Isis, riducendo ulteriormente le capacità e le finanze del gruppo.
Così Baghdadi sta tentando di costruire una realtà post-Califfato per mantenere la leadership, elemento fondamentale per unire e dirigere le cellule Isis. Questa d’altronde potrebbe anche essere l’unica cosa che mantiene in vita Baghdadi. Mentre i membri ribelli dell’Isis non sono riusciti a uccidere Baghdadi, infatti, ci hanno comunque provato. Questo lo ha fatto innervosire e lo ha spinto ad epurare i suoi circoli dirigenziali più vicini. L’ultimo episodio – culminato in uno scontro a fuoco (7 gennaio 2019) che ha costretto Baghdadi a fuggire da Baghuz – è stato orchestrato da Abu Muhammad Al-Husseini Al-Hashimi, ritenuto un lontano cugino di Baghdadi. Il suo appello televisivo, dunque, aveva proprio lo scopo di recuperare la leadership dell’Isis e segnalare che le trame contro di lui erano fallite.
Naturalmente nel video erano contenute minacce. Mentre Baghdadi faceva riferimento al crollo del regime sudanese di Omar Al-Bashir, alle dimissioni di Abdulaziz Bouteflika in Algeria e alla rielezione di Benjamin Netanyahu in Israele – eventi che si sono verificati tutti tra il 9-22 aprile, indicando che il video è stato realizzato di recente – egli non ha dimenticato di riservare la sua animosità nei confronti della Francia. Individuando e condannando Parigi per le sue attività nell’Africa occidentale e settentrionale, Baghdadi ha probabilmente trasmesso un messaggio in codice alle numerose cellule dormienti in territorio francese, a casa del più grande contingente europeo di combattenti Isis. La Francia rimane dunque vulnerabile, anche perché non è stata ancora in grado di adottare adeguate strategie antiterrorismo e antiradicalizzazione. L’attenzione nei confronti dell’Isis dovrebbe, per questa ragione, rimanere alta.
Ma dov’è Baghdadi? Dove si nasconde uno dei leader terroristici più riconosciuti, con una ricompensa di 25 milioni di dollari sulla testa? Mentre alcuni sostengono che si trovi nel “luogo più buio”, sembra più probabile che egli sia scivolato di nuovo oltre il confine con l’Iraq, abbia poi attraversato l’Iran fino ad essere traghettato – come molti altri prima di lui – verso le montagne di Tora Bora in Afghanistan. Per ogni giorno in cui non sentiremo le sue parole ci sarà l’istinto di scrivere di lui e dell’Isis, sempre descrivendoli come un’aberrazione nella vita politica della regione e, di fatto, del mondo.
Tuttavia se la storia moderna ci ha insegnato qualcosa, è che l’unica soluzione all’Isis è il suo completo annientamento. Ma questo richiederà risorse politiche, militari, di intelligence e di polizia da parte di un ampio spettro di attori, spesso in competizione fra loro. Se l’Isis non viene distrutta ora – mentre è debole – tornerà…per vendicarsi.
L’unica opzione reale è la cooperazione. L’Europa e gli Stati Uniti devono impegnarsi meglio con i Paesi arabi in tutto il Medio Oriente. L’intelligence giordana è sul campo e molto capace, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti sono all’avanguardia nell’interdizione delle finanze del terrorismo e i curdi iracheni stanno facendo molto del lavoro pesante in termini di lotta all’Isis. Hanno infatti bisogno di maggiore assistenza per contenere e sradicare l’Isis e trovare, uccidere o arrestare Baghdadi. Anche senza un territorio nazionale, l’Isis rimane una potente forza guerrigliera che si è insinuata in un’ideologia odiosa. Se l’Europa e gli Stati Uniti vogliono seriamente porre fine a questa lunga guerra al terrorismo, questo è il nodo cruciale.