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Lorenzo Betti: la vera sfida sono il benessere diffuso e l’inclusione

Spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è un errore perché anche in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio lavoro.
Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività.
Quest’intervista fa parte della rubrica Innovatori pubblicata su www.robertorace.com.
Uno spazio in cui proviamo a raccontare le storie degli Innovatori, a scoprirne modi di pensare, predilezioni e visioni del mondo. Cercando di capire meglio cosa ci riservano presente e futuro.

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“Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno che non lo sa e la inventa”.
Questa frase di Einstein ispira l’azione di Lorenzo Betti, classe 1965, amministratore delegato di Trim Corporate Finance, della quale è co-fondatore.
Alle spalle, un esordio come esperto di sistemi informativi per Piaggio Aeronautica, IBM e Microsoft, seguito da una lunga esperienza in operazioni di sviluppo e di ristrutturazione per società internazionali.
Nel 1993 approda al gruppo franco-tedesco Sommer Allibert S.A., fino a diventare Amministratore Delegato della filiale italiana, gestisce un piano di crescita fino a decuplicare la produzione, ricevendo riconoscimenti internazionali. Dal 2000 in Bain & Company in Italia, Germania, Brasile e USA come dirigente e consulente di clienti di riferimento nei loro settori in svariate operazioni di sviluppo strategico, tra cui il gruppo Fiat, General Motors e Ferrero, per citarne alcuni. Ha seguito inoltre come consulente diverse acquisizioni di aziende da parte di fondi di Private Equity. Nel 2003 diventa Direttore Commerciale di “The Nautor Group” mito nel mondo degli yacht a vela Swan, dove sviluppa il presidio del mercato e il controllo del brand in un momento particolarmente importante per l’azienda dopo l’acquisizione di un investitore. Da oltre dieci anni è advisor per fondi di Private Equity su operazioni di M&A e finanza straordinaria e consulente di diversi imprenditori.
Ha perfezionato i suoi studi in finanza presso Wharton School e Insead.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Un innovatore è qualcuno che vive già in un mondo diverso dal nostro, più “avanti”. Lui o lei è lì e non si capacita di come sia possibile che non ci siano anche gli altri e questo gli dà la forza di agire, facendo cose che sembravano impossibili fino ad un momento prima. Io penso che essere innovatori sia qualcosa di “radicato dentro”, che fa agire con spontaneità, senza pensarci, che porta con sé la forza anche di comunicare agli altri in maniera forte e diretta la propria condizione e il proprio modo di vedere le cose.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Credo che potremo considerare innovativo solo ciò che si muoverà nella direzione di un reale processo di diffusione del benessere. Nel mio ambito, il mondo delle imprese, l’innovazione sarà quando vedremo le azioni e il risultato delle aziende come un mezzo in tal senso, anche per gli imprenditori stessi. Oggi il risultato è troppo spesso un fine, ma così “cui prodest”?. La capacità di fare inclusione rientra sicuramente tra i capisaldi del benessere diffuso, su tutti i livelli. In un’epoca come la nostra in cui la crescita demografica procede a un ritmo mai visto nella storia, tutto ciò che può rendere migliore la qualità della vita nella sua essenza, per tutti, è innovativo. Non ho un modello precostituito di benessere, non lo associo alla ricchezza patrimoniale, ma il benessere è un diritto di tutti.
Le varie scelte politiche, monetarie, le tecnologie…dovrebbero essere sempre innovative!

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Parto dicendo che sinceramente non credo esista un modello di leadership predefinito: c’è chi riesce ad essere un leader comunicando, chi con l’esempio, chi con l’enfasi, chi con la costanza, e comunque sempre convivendo con debolezze o errori, come parte di un percorso verso il successo.
Un vero leader è quello che compie un percorso e che sa guidare con chiarezza, ma che sa essere pronto a cambiare strada con altrettanta chiarezza quando le circostanze o una riconsiderazione lo richiedono. In un’organizzazione, leader è chi è capace di trovare un bilanciamento tra le necessità della giornata con quelle di lungo periodo, deve creare altri leader e valorizzare le risorse, tutte.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. In generale mi trovo sempre molto stimolato ed ispirato da persone che hanno delle capacità, talento, qualcosa in cui sono bravissimi e che traspare dalla loro figura: il mio modello è una figura poliforme, formata dalle peculiarità che osservo negli altri. Mi sorprendo con passione quando scopro “mondi nuovi”, capacità o modi che non conoscevo prima, li ammiro e a volte questo permette anche a me di crescere.
Oltre ai miei genitori, per motivi diversi, il mio professore di filosofia del liceo, Carlo Di Gifico, non vedente ma abilissimo a far vedere a noi la realtà attraverso il pensiero dei filosofi di cui ci parlava. Riusciva a convincerci che ogni pensatore proponesse la visione più giusta, per poi ricominciare tutto da capo con quello successivo, magari in contraddizione con il precedente. Nel mondo professionale, continuo a trarre ispirazione dalla famiglia Deconinck, da Gianfilippo Cuneo, i Ferrero, da cui ho ricevuto, con la loro fiducia, stimoli per dare il mio meglio. Ancora oggi li considero dei riferimenti di visione, capacità di fare e di coerenza. Durante la mia esperienza nel gruppo Nautor Swan, che produce le barche a vela più belle del mondo, ho incontrato alcune tra le persone più facoltose del pianeta, ma soprattutto amanti di uno sport che amo anche io: la vela, appunto. E in loro ho apprezzato la vera applicazione del concetto di squadra, direi perfino di inclusione: per vincere, tutti dobbiamo esserci e avere un ruolo. Questo deve essere d’esempio per tutti e anche su concetti più ampi, come per esempio il sociale.

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Non abbino necessariamente il concetto di speranza con il superamento di una paura. Anzi, nella mia mente li trovo abbastanza distinti. Le mie paure sono molte e sono, per osmosi, le paure che riguardano chi mi è vicino sia dal punto di vista personale che professionale: la paura di non aver dato il meglio, di non riuscire a trasmettere qualcosa di positivo o addirittura di avere indebolito qualcuno che invece meritava. Però per fortuna questi timori, che sono una costante del mio modo di essere, li associo ad una voglia di crescere e di far crescere gli altri: metto a tacere i sentimenti negativi grazie ad una visione positiva delle cose e alla speranza che nutro nella capacità delle persone di trovare soluzioni, così come a livello di sistema confido che il bene comune possa sempre prevalere.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Il mio progetto attuale è sviluppare la mia struttura, Trim, che vorrei fosse riconosciuta dai suoi interlocutori (clienti, sistema finanziario, istituzioni) come operatore credibile e competente sulle materie di suo dominio. Al momento ci occupiamo di Corporate Finance, applicando un modello di approfondimento dei dossiers più esteso rispetto agli standard di mercato, per dare un valore quanto più alto possibile ai nostri clienti. Stiamo valutando l’apertura di altre linee di business, mantenendo sempre una connotazione di capacità a produrre risultati durevoli, tra cui alcune aree di consulenza e di investimenti mirati in piattaforme di club deal. Vorrei attrarre all’interno della nostra struttura professionisti con i quali condividere un progetto di sviluppo basato su un sistema di valori comuni. Nel futuro vorrei vedere la mia struttura assestata, con una propria capacità di crescita anche internazionale. Mi farebbe piacere essere anche più presente sulle attività di CrossThink-LAB, il nostro think tank in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna, dove portiamo avanti temi d’impatto, auspicando di dare un contributo pratico allo sviluppo socioeconomico.
Invito i lettori a dare un’occhiata al sito: http://tt.trim2.it/it/index.html

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Parto subito da quelle che mi fanno arrabbiare: la scorrettezza e la superficialità. Quando riscontro la somma delle due, diventa molto difficile trattenermi. Purtroppo, ho coniato un detto che trovo applicabile al modo nostrano di fare le cose: “il fine è fregarti, il mezzo è mentire”: non lo tollero, lo vivo con disagio. Probabilmente è uno stile vero anche al di fuori dei nostri confini ma qui ho spiacevolmente avuto modo di constatarlo troppo spesso, lo trovo deleterio e ne stiamo pagando le conseguenze a livello di sistema.
A livello professionale, essendo un consulente, sicuramente mi emoziona l’aver generato un beneficio ai nostri clienti, ancor di più quando questo è fatto da qualcuno della nostra squadra e quando il cliente stesso lo riconosce. Personalmente, poi, mi emoziona il successo di chi parte svantaggiato e la gioia del suo risultato: ottime premesse per sperare che possa rafforzarsi sempre di più, uno stimolo per lui e per tutti. La gioia per me più grande è però veder crescere mia figlia, che rappresenta la mia “continuità”, ma anche l’immagine del futuro.



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