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Da Maduro a Zelensky: andare a votare per depotenziare il Parlamento

Ora più che mai, la tendenza globale sembra quella della post-democrazia. Un concetto lanciato nel 2003 dal sociologo britannico Colin Crouch che cercava di spiegare come, nel XX secolo, la democrazia abbia disegnato una parabola ed intrapreso una fase discendente, per lasciare spazio ad una deriva oligarchica.

E non è che il voto sia scomparso, anzi… Le elezioni rinnovano sempre di più il potere e fungono anche da strumento utile per i nuovi leader politici.

Basta guardare la cronaca del giorno e vedere esempi tangibili di come alcuni presidenti cerchino di aggirare il controllo di altre istituzioni politiche, come ad esempio il Parlamento, e invocano elezioni anticipate nella speranza di cavalcare l’onda di consenso per avere potere legislativo dalla propria parte.

Come Vladimir Zelensky il nuovo presidente dell’Ucraina. Nel suo primo discorso da presidente, ha sciolto il Parlamento che si è trovato. Il capo dello Stato ucraino ha bisogno del consenso dei deputati per governare davvero e l’ex comico, ad oggi, non ha la maggioranza politica. “Avete due mesi di tempo per farlo, e se lo farete potrete appuntarvi al petto una medaglia – ha invitato Zelensky […] Oggi ogni ucraino diventa presidente”, ha detto. Il neo presidente cercherà di trasferire la sua popolarità al suo nuovo movimento, Servitore del Popolo, omonimo dello show satirico che conduceva in tv.

IN VENEZUELA

Dall’altra parte dell’Oceano, in Venezuela, un altro presidente ha convocato elezioni anticipate per rinnovare il Parlamento: Nicolás Maduro. Da quando sono state confermate irregolarità nel processo elettorale del 20 maggio del 2018, la comunità internazionale sta facendo pressione per fare tornare i venezuelani ai seggi, ma per la carica di presidente. Tuttavia, ieri davanti ai militanti del Partito Socialista Unito del Venezuela, il leader del regime venezuelano ha chiesto elezioni anticipate per rinnovare il Parlamento, guidato dal leader dell’opposizione Juan Guaidó.

Maduro ha detto che non ha ancora fissato una data – non sarebbe tra l’altro compito suo ma del Consiglio Nazionale Elettorale -: “Facciamo le elezioni, facciamo le elezioni del Parlamento […] All’opposizione l’invito a misurarci elettoralmente. Andiamo a votare. Diamo legittimità all’unica istituzione che non è stata legittima in questi ultimi cinque anni. Andiamo a elezioni anticipate del Parlamento per vedere chi ha i voti […] Chi vincerà? Il popolo chavista, cristiano e rivoluzionario!”.

E poi ha aggiunto: “Credo nella pace, ma sto preparando il popolo per difendere la patria in ogni modo, con la forza unita, con le milizie e con il popolo addestrato”. Tutto nel caso – si intuisce – che la strategia di prendere il potere totale attraverso il voto fallisca, come è accaduto nelle elezioni legislative del 2015.

“COME SFASCIARE UN PAESE IN SETTE MOSSE”

Secondo la giornalista turca Ece Temelkuran, il voto ha un ruolo fondamentale in quella fase di smantellamento dei meccanismi giudiziari e politici. Nel suo libro “Come sfasciare un Paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura” (Bollati Boringhieri, 2019), l’autrice sostiene che il punto di svolta critico in questo processo non è nella costituzione di organici formati da ubbidienti e leali esponenti di partito (o membri di famiglia): “La sterzata che permette ai leader di giocare a loro piacimento con questo apparato, comincia con il loro tentativo di indebolirlo allo scopo di creare la sensazione che sia superfluo”.

“Il leader populista inizia a rafforzare l’idea che il suo potere e quello dei suoi sostenitori sia in realtà maggiore di quello del sistema – prosegue Temelkuran – […] Ciò che conta, in questi primi tentativi di privare le istituzioni del loro potere, non sono i reali cambiamenti […], ma piuttosto la creazione di un comune pensiero secondo cui l’apparato statale è condannato, e da lungo tempo sta aspettando di essere depredato dal popolo reale”. Un rischio del quale nessun Paese è in salvo.

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