Basso e alto. Alto e basso. Sta tutto in questo dinamismo virtuoso il senso ecclesiale dell’intervento di Papa Francesco all’assemblea generale dei vescovi italiani sul tema del Sinodo. Ma per Francesco basso e alto hanno un significato preciso e riportano alla centralità del rapporto tra popolo e vescovo che mille volte ha già richiamato, sin dal suo primo incontro con i vescovi italiani nella basilica di San Pietro. Indimenticabile il suo richiamo alla figura del pastore che “sta dietro, davanti e in mezzo alle pecore” a lui affidate. Un pastore con “l’odore delle pecore”.
In ogni caso, con le parole pronunciate anche a braccio, il Papa ha decisamente aperto un cammino, ha fissato un orizzonte, ha lanciato acqua gelata su certi bollori ecclesiastici, ha indicato la necessità di prendersi il tempo necessario, ha sposato la prudenza e la concretezza. Ma il Sinodo della Chiesa italiana, dopo le parole di ieri di Francesco, è all’ordine del giorno. Certo necessiterà, da parte della Cei, una tempestiva ricezione del messaggio del Papa, a cominciare da una verifica delle due condizioni stringenti poste, anzi di quelle che lui ha esplicitamente chiamato “direzioni”.
Dal basso verso l’alto: “Ossia il dover curare l’esistenza e il buon funzionamento delle diocesi, i consigli, le parrocchie, il coinvolgimento dei laici. Incominciare dalle diocesi: non si può fare un grande Sinodo senza andare alla base, così il moto dal basso in alto, e la valutazione del ruolo dei laici”.
Dall’alto verso il basso: “E poi la sinodalità dall’alto verso il basso, in conformità al discorso che ho rivolto alla Chiesa italiana nel quinto Convegno nazionale a Firenze, tenutosi il 10 novembre del 2015, che rimane ancora vigente e deve accompagnarci in questo cammino. Se qualcuno pensa a fare un Sinodo della Chiesa italiana, si deve incominciare dal basso in alto e dall’alto in basso col documento di Firenze. Questo porterà via tempo, ma si camminerà sul sicuro e non sulle idee”.
Sembra quasi di risentire l’eco dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium laddove Papa Francesco richiama il primato della realtà sulle idee: “La realtà è superiore all’idea”. Quasi a voler sottolineare che se qualcuno ancora non lo ha capito, le parole pronunciate a Firenze erano la strada maestra per la Chiesa italiana. E forse oggi appaiono ancor più fondate le preoccupazioni di chi, all’indomani di Firenze, cioè quasi quattro anni fa, si chiedeva se l’invito del Papa sarebbe stato recepito nelle diocesi italiane.
In fondo, quello di oggi è un bel risveglio per la Chiesa italiana, chiamata a rivisitare da subito l’appuntamento di Firenze e il mandato affidato dal Papa all’Italia cattolica sulla base di una formidabile constatazione: “Non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”. Parole attualissime se associate al suo invito fatto a Firenze per rispondere alle “sfide nuove”: “Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.
A Firenze Francesco si spinse a dire: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.
E per non lasciare un vuoto programmatico, Francesco affidò alla Chiesa italiana una missione: “Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni Regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium”. E suggerì anche di essere creativi, affidandosi “al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese”.
A questo punto la domanda è d’obbligo: questo processo è stato realizzato? Sinceramente ne dubitiamo se Francesco lo ripropone e dice, a chi pensa a un Sinodo per l’Italia, che si riparte da Firenze e dal sogno di una “Chiesa povera per i poveri”.