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Zanda e il Pd si arrendono (a Di Maio) sugli stipendi dei parlamentari

Per il M5S è la prova delle loro ragioni; per il Pd, il passo indietro è solo un modo per sottrarre un’arma agli avversari in campagna elettorale. Fatto sta che il tanto discusso ddl Zanda sugli stipendi dei parlamentari italiani, è stato ritirato. Come anticipato dal senatore questa mattina in un’intervista al Corriere della Sera.

E’ una vittoria firmata Di Maio che aveva attaccato il provvedimento accusando il Pd di voler aumentare gli stipendi. “Non è vero – spiega Zanda – avrebbero guadagnato di meno”. Mostra anche le cifre: 10.499 euro contro 11.134. La querelle avrà una coda giudiziaria, il senatore annuncia querela nei confronti del vicepremier.

Il dato politico, però, è il dietrofront del Pd che aveva definito fake news la polemica del M5S. Zingaretti dichiara che nel ddl erano previsti “solo elementi di trasparenza e passi in avanti per far decidere un corpo terzo sullo stipendio dei parlamentari”. Parla di “aggressione vergognosa fondata sulle bugie. Non si può continuare a fare politica sparando bugie e aggredendo gli avversari”.

Sul blog delle stelle, il Movimento gongola:

Allora era tutto vero. Zingaretti è stato sbugiardato dal suo stesso tesoriere. Zanda ha dichiarato che ritirerà la vergognosa proposta PD. Avevamo ragione noi! Se la nostra era solo propaganda e se erano convinti della bontà delle proprie convinzioni politiche perché non sono andati fino in fondo con la loro legge? Caro Zingaretti, la proposta PD di aumentare gli stipendi dei parlamentari c’era eccome!

Di Maio incassa in silenzio (almeno per ora).

Nel pomeriggio, invece, Zingaretti torna sull’argomento. Lo fa nel corso della registrazione della trasmissione tv “Quarta Repubblica” per Rete 4. “I parlamentari non guadagnano troppo, specie quelli che fanno bene il loro lavoro. Oggi sono i sindaci e i consiglieri comunali a guadagnare poco. Anzi se le indennità sono troppo basse, alla fine la politica la fanno solo i ricchi”. Il segretario del Pd ha anche detto che non considera una priorità la reintroduzione dell’articolo 18.

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