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Renzi e Berlusconi, le convergenze sono parallele anche nel declino

Quelle di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sono due storie parallele e per alcuni versi speculari. Prima “complici” nel “patto del Nazareno”, poi protagonisti di una rottura tanto traumatica quando rancorosa come quella fra due amanti che si erano cercati e poi si son sentiti traditi. Infine, il comune declino per mano di forze che hanno esaltato al massimo grado quell’elemento “populistico” che proprio loro avevano introdotto, in due diverse fasi storiche, nella politica di destra e di sinistra, seppure in piccole dosi. La riforma elettorale, nata sostanzialmente da una convergenza di interessi fra loro due, non ha fatto che consegnare il governo nelle mani di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. I quali, anche mediaticamente, vinte le elezioni, li hanno oscurati nel primo anno di governo. Consegnandoli, in qualche modo, al passato.

Ora, a due settimane dalle elezioni europee, in una fase di indubbie difficoltà dell’esecutivo, i due amici-nemici tornano per un momento protagonisti con due interviste rilasciate al Corriere della Sera (Renzi) e a La Stampa (Berlusconi). Ovviamente, i due ormai giocano un ruolo diverso, anche se qualcuno (ingenuamente a mio avviso) sogna una alleanza antipopulista e moderata con loro come perno. Il Cavaliere, acciaccato ma non domo, cerca di riportare Salvini dalla sua sua parte, arrivando a proporre di farsi promotore di una alleanza fra sovranisti e popolari a livello europeo; mentre Renzi, non avendo più un ruolo politico da leader da giocare, dopo aver giurato fedeltà al neo segretario Nicola Zingaretti, non può fare altro che sparare a zero sulle due forze contraenti il patto di governo. Gioco facile, ma abbastanza improduttivo, visto che le redini del suo partito gli sono sostanzialmente scappate di mano. E che soprattutto, al contrario di Berlusconi, non ha molto da offrire in questo momento o da mettere sul tavolo.

Un elemento risalto dalla lettura incrociata delle due interviste: il presidente del Consiglio viene duramente attaccato, al limite dell’offesa personale, sia da Renzi sia da Berlusconi. Dopo averlo interpellato sul suo cattivo carattere, il giornalista di Repubblica si sente rispondere dall’ex premier del Pd che è meglio avere un “caratteraccio” che essere “un premier senza carattere, alla Conte”. Quanto a Berlusconi, egli parla di un Conte “umiliato” dalla decisione, di cui si è assunto la responsabilità, di togliere le deleghe a un sottosegretario di cui non è stata accertata alcuna colpevolezza. Questo attacco concentrico a Conte dimostra che la figura del presidente del Consiglio è cresciuta enormemente a livello politico. E che forse sarà dalle sue mosse che dipenderanno molti degli equilibri politici futuri.



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