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Mi aspettavo De Michelis uomo di potere, invece era un intellettuale

Di Gianfranco Rotondi

Di De Michelis ve ne sono almeno due: quello che ha calcato la scena della Prima Repubblica da protagonista assoluto, e quello che si è incuneato con discrezione nel caos della Seconda. Il primo e il secondo De Michelis non hanno avuto niente in comune, nemmeno l’aspetto fisico:il ras socialista di Venezia aveva un fisico debordante, capelli lunghi e disordinati, movimenti rumorosi e vistosi. Il secondo De Michelis era divenuto asciutto, discreto, nemmeno il taglio corto dei capelli rinviava alle immagini dei tempi di gloria.

Per età ed esperienze non ho potuto conoscere il primo De Michelis se non dalle cronache. Ho conosciuto bene invece il secondo, con cui ho condiviso alcune curve della seconda repubblica. Era il 2006, Berlusconi governava da cinque anni e appariva logorato dalle polemiche della sua maggioranza, specialmente con l’Udc. Le elezioni del 2006 apparivano difficili per il centrodestra, e la vittoria di Prodi veniva data per scontata.

De Michelis ed io avevamo ricostruito due partiti che si richiamavano alla Dc e al Psi, un tentativo romantico e un po’ goffo di ripristinare la casa avita. D’un tratto per Berlusconi quella operazione nostalgia divenne la scialuppa di salvataggio: preciso come sapeva essere solo lui nelle previsioni elettorali, Silvio aveva capito che le elezioni si sarebbero vinte coi numeri marginali. E dunque Rotondi e De Michelis divennero fondamentali. Chiedemmo una sola garanzia: alcuni seggi in diritto di tribuna in Forza Italia, e la possibilità di fare una sola lista della Dc e del Psi. Nacque un curioso animale a due teste, metà garofano e metà scudo crociato, con me e De Michelis ad arringare amici e compagni in giro per l’Italia.

Pensai che la coppia fosse ben assortita, io un po’ teorico, lui sicuramente più esperto. Macché, sbagliavo tutto: toccò a me tutta la parte pratica, la trattativa mai facile con Forza Italia, la gestione finanziaria della campagna elettorale, la composizione delle liste. L’ex ras del Psi non volle toccare palla, fu persino eletto e non accettò il seggio con un gesto carico di umiltà o forse di aristocratico distacco, chissà.

In realtà Gianni non era il pragmatico macinatore di potere che immaginavo. Mi si rivelò un intellettuale, con la passione degli affreschi di scenario. E lo scenario non era mai provinciale, pochi come Gianni sapevano intuire e spiegare i ritmi del mondo, interpretando i fatti politici nazionali in base ai movimenti profondi della storia.

Si inserì nella Seconda Repubblica con ironico scetticismo, rifiutò il proscenio nazionale e si ritagliò spazi da consigliere politico, persino una bizzarra esperienza da assessore nella regione Calabria. Si divertì così, ma non confidò mai in una resurrezione politica alla quale manco aspirava. Né prese sul serio la seconda repubblica, di cui salvava solo Berlusconi, verso cui non ebbe mai il pregiudizio supponente di molti protagonisti della Prima Repubblica.

Gli ho voluto bene, istintivamente ammirato di quella decadenza aristocratica e serena, di quell’essersi lasciato alle spalle il palazzo veneziano in San Samuele per ritrovarsi in un sottoscala seppure a un indirizzo dei Parioli. Eppure quella casa brutta e buia sembrava una reggia quando lui riceveva circondato da file interminabili di libri.
La malattia non ha permesso a De Michelis di osservare la Terza Repubblica, e a noi di riceverne la spiegazione alla maniera di Gianni.

È una perdita per la cultura politica del nostro Paese, quel po’ che ne resta. E ne resta così poco che il piccolo spazio occupato ormai da Gianni sembra adesso un enorme buco nero.

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