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Il politico rischia di essere più attento ai social che al problem solving

LA GABBIA INVISIBILE DEI SOCIAL

La gabbia invisibile dei social network, la dipendenza dalle “dirette”, il monitoraggio in tempo reale dei mercati finanziari e delle agenzie di stampa, hanno inevitabilmente sparigliato gli equilibri che per secoli dettavano legge nell’arte del governare. Da un lato è ammissibile sostenere che i politici dei giorni nostri siano, per alcuni versi, meno ravveduti rispetto ai governanti formatisi nelle scuole di partito delle generazioni addietro, contestualmente è doveroso ammettere che il loro compito richieda oggi un maggior consumo di energie mentali rispetto ai loro colleghi del passato. Stress, ansia e nei casi peggiori frustrazione sono piano piano germogliati nella classe dirigente, fedelmente in linea con quanto registrato nella società stessa, a tal punto da farci re-interpretare in maniera un po’ beffarda il concetto di “democrazia rappresentativa”.

La giornalista Giuliana Rotondi, corrispondente di Focus, si è occupata del tema sostenendo dopo accurate ricerche che discutere di politica con chi ha un punto di vista diverso dal proprio si rivela una vera e propria fonte di ansia. In quello che, per antonomasia, dovrebbe essere un sano dialogo costruttivo, gli studiosi registrano oggi una sempre più diffusa e crescente percezione di minaccia. Le ragioni individuate sono principalmente due: la prima risiede nella costatazione scientifica secondo la quale i temi e le questioni polarizzanti generano emozioni ansiogene; la seconda si basa, invece, sull’ipotesi che discutere delle proprie convinzioni e della propria visione del mondo porti, quasi inevitabilmente, a radicalizzare il confronto, facendolo slittare dal piano politico a quello morale (sottintendendo “io sono meglio di te”). Il contesto, ad oggi, probabilmente più esplicativo per intelligere una simile condizione di ansia sociale è rappresentato dai social network e dalla relazione tra questi ed i cittadini.

FEAR OF MISSING OUT

Lo scienziato sociale Andrew Przybylski dell’Università di Oxford, analizzando il rapporto tra social network e ansia sociale unitamente a ricercatori dell’Università della California, di Rochester e di Essex, fu il primo ad utilizzare, nel 2013, l’espressione Fomo, acronimo di “Fear of Missing Out” (la paura di esser tagliati fuori), utilizzata per descrivere un disturbo psicologico contraddistinto dall’uso eccessivo dei social e dal controllo compulsivo di aggiornamenti e messaggi di stato, con la paura di “mancare l’opportunità”, di perdersi qualcosa o qualcuno, di non vivere al meglio o comunque di non vivere il momento e il posto migliore, mentre tutti gli altri stanno (in teoria) facendo qualcosa di più bello, di più divertente ed interessante. Il timore di essere esclusi dalle esperienze altrui provoca ansia e questa, a sua volta, determina il desiderio spasmodico di rimanere sempre connessi con gli altri e se per certi versi gli spin doctor fanno velatamente leva sulla dipendenza degli utenti affetti da Fomo allo stesso tempo il politico deve gestire a sua volta la propria personale paura di rimanere “escluso” affrontando con più o meno successo la propria fobia di onnipresenza ed il bisogno spesso limitatamente spontaneo di comunicare qualcosa.

Il politico per sua natura convive notte e giorno con il demone del consenso, rimanendo costantemente esposto all’ossessione cancerogena del gradimento mediatico riscoprendosi un giano bifronte che è contemporaneamente vittima e carnefice di una sorta di ubiquità dell’esserci. Inghiottito in questo suo dissidio interiore il leader contemporaneo corre dunque il rischio di dirigere impulsive risorse alla propria rappresentazione social compiendo l’errore madornale di sottrarle all’attività politica più “vintage”, quella laboriosità fatta di proposte concrete per i cittadini miste ad un cogente problem solving ritenuta ad oggi probabilmente demodè, ma che tuttavia puntualmente nel segreto dell’urna promuove o sconfessa i candidati ed i loro più evanescenti social media manager.

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