Puntualmente, negli ultimi venti anni, la parata del 2 giugno si è trasformata in un attacco alla diligenza, presa d’assalto da una variegata moltitudine di soggetti desiderosi di sfilare tra due ali di folla plaudenti e bandierine tricolori sventolanti nelle mani di un pubblico benevolo ed ammirato.
E così ogni anno il povero Capo del Cerimoniale di Palazzo Chigi, quello del ministero Difesa e probabilmente del Quirinale, tutti insieme alla guida della diligenza, hanno dovuto subire, sempre con perdite, le richieste di sfilare insieme ai soldati, di Protezione Civile, pacifisti, vigili urbani, sindaci, scolaresche e così via. In questo contesto così snaturalizzante, pensavo che lo smacco più frustrante e più duro da ingoiare fosse stato quello della parata del 2000, quando tutti i caccia dell’Aeronautica Militare confluiti negli aeroporti prossimi a Roma per il sorvolo dei Fori Imperiali, furono rispediti a casa senza spiegazione ufficiale, ma in realtà perché- disse chi adottò la decisione- il rumore dei velivoli da guerra lesionava i monumenti. Fu proprio questa la motivazione per la cacciata degli equipaggi di cui sono stato testimone diretto, ed a nulla sono valse le argomentazioni che se qualcuno quel giorno era meritevole del plauso dei cittadini erano proprio quegli equipaggi che solo un anno prima avevano portato a termine con professionalità, coraggio e dedizione il conflitto Nato nei Balcani.
Ma se vogliamo, nell’ormai lontano 2000 un motivo -per quanto non condivisibile- per alterare la parata, c’era. Oggi vi sono due nuove peculiarità di contesto un po’ meno digeribili, l’una tecnica per così dire, l’altra morale. Si è detto che l’edizione della parata del 2019 deve essere quella “dell’inclusione”. Che vuol dire? Forse la manifestazione in passato ha mai escluso qualcuno? Hanno sfilato proprio tutti, sopratutto soggetti estranei al mondo militare, nello status e nelle finalità istitutive. Perché quindi escludere, come lascerebbero intendere le parole della Ministro Trenta gli emarginati e gli ultimi? Ma che vuol dire?
Ben poca cosa sono tuttavia queste nuove bizzarrie e le associate perplessità interpretative rispetto all’amarezza che i comportamenti di chi oggi è alla guida politica delle Forze Armate e del Paese suscitano nel mondo con le stellette. Proverò a descriverla con le parole che il Generale Arpino ha rivolto ieri, con una lettera, al ministero della Difesa e che mi sento di sottoscrivere parola per parola: ” Ringrazio per l’invito del Ministro della Difesa ma quest’anno non sarò presente sulla tribuna presidenziale di via dei Fori Imperiali. Mi manca la serenità d’animo per essere in prima fila a stringere la mano ad alcuni di coloro che, pur in posizione responsabile, hanno dimostrato scarso interesse per l’efficienza ed il buon nome delle nostre Forze Armate, si sono espressi in talune occasioni in termini non convenienti ed hanno consentito, alimentandola pubblicamente, che una larga fascia del personale in quiescenza venisse sottoposta ad una lunga, offensiva ed intollerabile gogna mediatica. Ho riflettuto a lungo, giungendo alla conclusione che la mia presenza in tribuna altro non avrebbe rappresentato se non una forma di ipocrisia, atteggiamento che ritengo estraneo al DNA di ogni buon soldato. Ho giurato fedeltà alla Repubblica e nato sul confine orientale, conosco bene cosa significhi amare e servire la Patria. In attesa di tempo sereno, la festeggerò quindi in solitudine, nell’intimo dei miei ricordi e della mia coscienza”.
Fin qui Mario Arpino; che dire di più se non manifestare con Eduardo De Filippo l’auspicio di tutti, quanto mai attuale e calzante, che presto o tardi “adda passà ‘a nuttata!”