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Solo Cuba e Bolivia sono con Maduro. Il Brasile sta con gli Usa ma dà del dilettante a Guaidó

Non è un colpo di Stato, ma la vittoria della Costituzione e il passo necessario per ripristinare la democrazia in Venezuela. È questo il pensiero del Gruppo di Lima che si riunirà venerdì in Perù per esaminare la crisi del Paese sudamericano; una crisi trascinata da mesi, forse anni, colpendo l’intera regione.

“I ministri degli Esteri del Gruppo di Lima si dichiarano in sessione permanente – si legge in un comunicato ufficiale dell’organismo multilaterale – e hanno deciso di incontrarsi il prossimo 3 maggio (domani, ndr) nella città di Lima”. Il Gruppo, integrato da una decina di Paesi americani, inclusi il Canada, è impegnato nella ricerca una soluzione pacifica alla crisi del Venezuela. La decisione è stata presa in videoconferenza tra i ministri degli Esteri dell’Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Panama, Paraguay e Perù. Il governo colombiano aveva già sollecitato una riunione di emergenza dopo i fatti degli ultimi giorni a Caracas.

Il Gruppo di Lima ha anche dato responsabilità in maniera diretta a Nicolás Maduro e le forze di sicurezza e di intelligence “che ancora sostengono il regime illegittimo per l’uso di violenza indiscriminato nelle repressioni delle manifestazioni che si stanno producendo in Venezuela”.

Ugualmente, la maggioranza dei Paesi della regione “esprimono il suo sostegno al processo costituzionale e popolare intrapreso dal popolo venezuelano, con la guida del presidente incaricato Juan Guaidó per recuperare la democrazia in Venezuela: “Il Gruppo rifiuta che questo processo sia qualificato come un colpo di Stato”.

IL BRASILE E GLI ERRORI DI GUAIDÓ

Tuttavia, l’appoggio dei Paesi vicini non è esente da critiche. Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha mantenuto il suo sostegno al presidente Guaidó ma dal suo governo c’è chi considera il piano contro Maduro frettoloso e disorganizzato. In dichiarazioni al quotidiano O Globo, il ministro per la Sicurezza Istituzionale, generale Augusto Heleno, ha detto che il movimento è stato precario e non ha raggiunto tutti gli elementi necessari all’interno delle Forze Armate. E questo ha indebolito molto il leader dell’opposizione. “Sembrava un litigio tra tifosi in una partita di calcio – ha dichiarato Heleno -. Gente che lanciava pietre, altri lanciavano bombe. Non aveva per nulla l’aspetto di una ribellione seria o di una possibilità reale che sarebbe caduto Maduro”.

Il massimo responsabile dell’intelligence brasiliana ha confessato di essere molto preoccupato perché la situazione potrebbe degenerare in una guerra civile alle porte del Brasile.

Sebbene il piano di Guaidó non è andato a buon fine, per Bolsonaro si tratta di un’escalation che non si può fermare: “Non c’è sconfitta. Applaudo e riconosco lo spirito patriottico e democratico per lottare a favore della libertà del Venezuela”.

Il Brasile ha più volte respinto la possibilità di un intervento militare in Venezuela, ma non esclude di cedere una parte del territorio brasiliano agli Usa previa consultazione con il Congresso nazionale brasiliano.

GLI USA E L’OPZIONE MILITARE

Per gli Stati Uniti, invece, l’opzione armata è ancora presente. Più che mai, dopo la mancata promessa di Maduro di lasciare il potere e trasferirsi a Cuba. In una conferenza stampa, il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato apertamente che “tutte le opzioni sono sul tavolo”. All’emittente Fox News ha risposto che si sta valutando “chi opterà per la violenza e chi per altri mezzi. Il presidente è stato chiaro: se la situazione lo richiede, l’opzione militare resta sul tavolo. Noi abbiamo già visto presenza militare lì (in Venezuela, ndr), non solo cubana. I russi hanno militari sul territorio”.

“Se mi chiedete se gli Usa sono pronti all’azione militare – ha aggiunto – se è questo di cui ha bisogno il Venezuela per ripristinare la democrazia, il presidente è stato coerente e inequivoco: l’opzione di usare la forza militare è disponibile per fare quello che va fatto. Speriamo che non sia così. Speriamo in una soluzione pacifica e che Maduro vada via senza violenza”.

LA SOLIDARIETÀ DI CUBA E BOLIVIA

Chi invece non si allinea alle accuse di Washington, è il governo cubano. “Non ci sono operazioni militari né truppe cubane in Venezuela – ha scritto su Twitter il presidente Miguel Díaz-Canel -. Chiediamo alla comunità internazionale di fermare questa escalation pericolosa e preservare la pace. Basta bugie”.

Per il ministro degli Esteri cubani Bruno Rodríguez, le accuse contro i cubani del consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, sono false: “Non c’è presenza militare cubana in Venezuela. Non siamo stati coinvolti nei fatti dei giorni scorsi. La nostra presenza in Venezuela è solo con personale medico in missione umanitaria”.

Il governo di La Habana ha riconfermato il sostegno a Maduro, e ha accusato Stati Uniti di voler compiere un colpo di Stato in Venezuela. Per i cubani, l’obiettivo di Washington è: soffocare il Venezuela per cerchiare di nuovo Cuba o viceversa. “Qualsiasi delle due – si legge sul quotidiano Granma – porterà allo stesso risultato di 60 anni di embargo: il fallimento”. Durante la manifestazione del 1° maggio, il presidente Díaz-Canel – sul palco con Raúl Castro – ha detto che gli obiettivi ora sono chiari: difesa del Venezuela e rifiuto della legge Helms-Burton (di nuovo attivata dal governo per il blocco delle transizioni internazionali con Cuba).

Tra i pochi alleati regionali rimasti a Maduro c’è la Bolivia. Il presidente Evo Morales ha condannato energicamente quello che considera “un colpo di Stato in Venezuela, orchestrato dalla destra, sottomessa agli interessi stranieri […] Siamo convinti che la coraggiosa Rivoluzione Bolivariana guidata dal fratello Nicolás Maduro vincerà contro questo nuovo attacco dell’impero”.

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