Il vecchio Cavaliere, col suo fiuto politico e il senso del reale, forse esiste ancora. Ne avevamo dubitato da quando, subita l’inattesa ascesa di Matteo Salvini come leader della destra, aveva cominciato a prendere delle posizioni politiche non in linea certamente con la sua storia. Il Berlusconi dei tempi d’oro non avrebbe mai assunto, ad esempio, una posizione così smaccatamente filoeuropeista, come è sembrato in alcuni momenti che egli facesse (influenzato forse da Antonio Tajani?); né soprattutto avrebbe mai affermato di non capire più gli italiani o che gli italiani stavano sbagliando.
Era stato proprio lui, infatti, ad introdurre per primo buone dosi di “populismo” nel sistema italiano, considerandosi sempre uno del popolo e non dell’establishment. Era sembrato altresì che, perse le redini del partito, con varie primedonne al suo fianco che cantavano ognuna per conto proprio, Forza Italia fosse destinata a dissolversi per poi sparire. Non che questa fine sia del tutto scongiurata, ma è indubbio che la mossa di ieri potrebbe rimescolare le cose. Non tanto perché egli ha deciso di nominare due coordinatori ma perché i nomi scelti – Mara Carfagna e Giovanni Toti– sono quelli di due politici che rappresentano anime diverse e persino opposte del partito, di cui almeno uno, Toti, più apertamente critico verso il fondatore e sul punto di creare un proprio movimento tendenzialmente scissionista. Se a questo poi si aggiunge il fatto che a Toti e Carfagna è stato affidato il compio di preparare il congresso entro la fine dell’anno, sembra evidente che, da una parte, si tratterà di un congresso vero e, dall’altra, che quello di Berlusconi è l’ultimo tentativo per salvare la sua creatura.
Certo, potrebbe anche esserci una altra interpretazione, più “diabolica”, nella scelta di Toti e Carfagna: proprio perché agli antipodi politicamente, essi finiranno per elidersi a vicenda lasciando libero il fondatore di tirare fuori il nome del suo vero successore. Comunque sia, la partita in gioco è la sopravvivenza di Forza Italia e il fischio finale ci sarà fra pochi mesi. L’arbitro sarà sempre lui, anche nel caso in cui egli decidesse, come Crono, di divorare il suo figlio e non farlo sopravvivere a se stesso. La domanda diventa allora un’altra: sopravvivere per fare cosa?
La logica direbbe per rappresentare il coté liberale in una coalizione di forze, o forse in un partito unico, di destra guidata da Salvini. Il fatto è che però io ho l’impressione che Salvini, accortosi della sua debolezza sul fronte più liberale e “liberista”, stia cominciando a riorientare il suo “sovranismo”. L’insistenza sul taglio delle tasse e l’adesione al virile conservatorismo liberale e occidentalista (perché questo è, checché ne pensi Repubblica!) di Donald Trump si muove in questa direzione.
Se le cose andassero così, se cioè Salvini riuscisse a ben rappresentare anche l’anima più “moderata” della destra italiana, per Forza Italia non ci sarebbe più futuro: perché un liberale dovrebbe trovarsi a disagio sotto le ali della Lega, partito nazionale e catalizzatore delle mille e plurali anima di una destra con aspirazione di governo?