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Di Maio copre le spalle a Conte e Tria (ma non dimentica Salvini)

La settimana scorsa Giuseppe Conte, come è noto, aveva chiesto per sé la delega a trattare con l’Europa. Il premier aveva anche dato l’impressione di volerlo fare su una linea più morbida e accondiscendente verso le richieste della Commissione rispetto a quella dei suoi due vice. I quali avevano trovato un accordo con la convergenza piena di Luigi Di Maio sulle posizioni “muscolari” di Matteo Salvini.

LA RICHIESTA DI SALVINI: UN MINISTRO PER IL RAPPORTI CON L’EUROPA

Il leader leghista, quasi a volerlo sfidare, aveva chiesto poi al presidente del Consiglio di nominare rapidamente un ministro per i Rapporti con l’Europa, rinunciando alla delega che egli aveva tenuto per sé dopo le dimissioni di Paolo Savona. Una convergenza che, in qualche modo, aveva spiazzato Conte, con qualcuno che si era spinto addirittura a parlare di un suo inverosimile asse col Quirinale. Ora, stamattina, il capo politico dei Cinque Stelle, da coazionista di maggioranza del governo, ha dato “pieno mandato” a Conte e a Giovanni Tria a trattare con l’Unione Europea. Lo ha fatto dai microfoni di Radio anch’io, cosa che non deve stupire più di tanto considerato che la politica si fa ormai sui mezzi di comunicazione e non nei luoghi un tempo ad essa deputati.

GLI OBIETTIVI DEL GOVERNO E L’APPOGGIO DI DI MAIO A CONTE

Contemporaneamente però Di Maio ha rimandato al mittente la richiesta europea di revisione della legge finanziaria: “Non vogliamo tensioni clamorose con l’Ue – ha detto -, ma al centro dobbiamo mettere sempre gli italiani, non i numerini”. In sostanza: Conte ha sì la delega che aveva chiesto, ma la trattativa deve svolgersi all’interno dei “paletti” stabiliti insieme a Salvini. In questo modo, Di Maio ha indubbiamente coperto le spalle al premier, e anche al ministro dell’Economia (che oggi partecipa a Bruxelles a un’importante riunione dell’Eurogruppo), ma ha anche fatto trasparire con chiarezza gli obiettivi più di lungo termine del governo.

LA FASE 2

Certo, l’esecutivo potrebbe andare presto in crisi per un evento traumatico esterno o per una scissione del Movimento (l’ala più giustizialista e antigovernativa dei Cinque Stelle è indubbiamente messa a dura prova in questi giorni dall’offensiva della magistratura sulla Lega). Se però ciò non dovesse accadere, e il governo dovesse durare fino alla fine naturale della legislatura, le tappe del futuro cammino sembrano segnate. Si tratta prima di terminare la fase 1, cioè rispettare fino in fondo gli impegni “assistenzialistici” presi con gli italiani e riflessi nel Contratto di governo, e poi di passare alla fase 2 con politiche più volte allo sviluppo e agli investimenti. “Noi – ha aggiunto significativamente Di Maio – investiamo sulla crescita e per fine anno, nella legge di bilancio, metteremo a posto tutto quello che c’è da mettere a posto”.

OLTRE LO STREPITIO DEI GIORNALI

Ho come l’impressione che anche questa volta, nonostante gli strepiti della più parte dei giornali, tutto si ricomporrà: gli assi di cui si discorre non sono, per fortuna, quelli di “acciaio” di un tempo, ma i mobili posizionamenti di un gioco delle parti che, piaccia o meno, è proprio della post-politica contemporanea. Non so perché, ma per chi come me non ha un’immagine perfettistica della politica, né prescinde mai dal “principio di realtà”, credo che convenga a tutti, anche all’Unione europea, abbandonare l’universo ideale dei parametri e scendere a quello più pragmatico della negoziazione contestuale. Come diceva Bettino Craxi, che con spirito profetico aveva avuto sentore già negli anni Novanta delle difficoltà attuali, se l’Italia ha indubbiamente bisogno dell’Europa, è vero pure il contrario. Dopo la Brexit, può Bruxelles perdere per strada persino un Paese fondatore?

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