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L’uscita di Fico sul 2 giugno? Tutto calcolato. L’opinione di Ocone

Verrebbe voglia di rimpiangere il periodo in cui il nostro sistema politico, e forse la stessa idea di democrazia rappresentativa, non erano andati ancora in tilt. In quei tempi il presidente della Camera rispettava rigorosamente il suo ruolo istituzionale ed era portato naturalmente a distinguerlo da quello politico che, casomai con fervore e passione, aveva ricoperto fino a un momento prima. Allora si usava affidare la terza carica dello Stato all’opposizione, quasi a garanzia dell’unità costituzionale di fondo entro cui si circoscrivevano anche le più profonde divisioni politiche. Nilde Iotti, Piero Ingrao, Fausto Bertinotti, comunisti tutti d’un pezzo, non esitarono a dare un carattere e un tono di garanzia e super partes al ruolo che furono chiamati a ricoprire. Poi, con la fine della Prima Repubblica e l’introduzione del maggioritario, le cose cambiarono radicalmente. Per intanto, i partiti di maggioranza attuarono una sorta di spoil system e pretesero per sé anche la poltrona più alta di Montecitorio. Poi i presidenti prescelti cominciarono gradualmente a concepire in maniera più “elastica”, diciamo così, il loro ruolo.

Roberto Fico si inserisce in questa linea e la esaspera. Egli non è uomo di molte parole, si concede poco ai giornalisti, ma proprio per questo le sue uscite a gamba tesa assumono un valore politico molto forte. Le sue affermazioni sono poi particolarmente destabilizzanti per il governo, essendo Fico il rappresentante fra i pentastellati dell’area più movimentista e “di sinistra”, e quindi contraria alla linea governativa del capo politico Di Maio.

Da qualche tempo egli sembra impegnato con tutto sé stesso a provocare Matteo Salvini e i leghisti, dando l’impressione di auspicare quasi la fine del governo. È in quest’ottica, più che in quella ideale (che pure esiste), che è da concepire il suo intervento a margine della parata militare di ieri che, senza eufemismi, ha fatto “rompere le scatole” a Salvini. Dedicare la festa nazionale italiana a “rom, sinti, migranti”, oltre a mostrare scarsa sensibilità istituzionale, è un fendente lanciato con molta precisione, e quindi credo programmato, anche per delineare futuri scenari.

Non è dubbio, infatti, che esso apra a forze come il Pd e ai cattolici alla Bergoglio, fautrici per principio di una generosa “ospitalità” (o “inclusività”): nei loro rispetti Fico si accredita come “uno di loro”! Certo, è da considerare che oggi, per un governo alternativo fra i Cinque Stelle e il Pd non ci sono i numeri, ma in un domani prossimo potrebbe essere altrimenti. D’altronde, gli scenari non cambiano forse rapidamente e i voti non sono forse oggi in Italia volatili quanto mai prima era avvenuto?

Certo, il rischio è anche quello di una “scissione” in casa pentastellata, ma chissà se anche su questo punto l’uscita di Fico non faccia parte di un rischio calcolato? Certo, il presidente della Camera non fa che marcare il suo terreno, ma che lo faccia dallo scranno presidenziale non è certo cosa che possa fare piacere a chi crede ancora nello Stato e nelle sue istituzioni. Capisco che rimpiangere i vecchi comunisti non è il massimo, ma almeno per questa parte credo che sia doveroso farlo.


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