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G20. La distensione tra Washington e Mosca passa da Osaka

Il G20 giapponese, che si terrà a Osaka il 27 e il 28 giugno, si avvicina. E, con esso, anche la possibilità di un incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. In base a quanto dichiarato dal viceministro degli Esteri russo, Sergej Rjabkov, è “presumibile” che avrà luogo un colloquio fra i due leader, per quanto dettagli – al momento – non ve ne siano. Da parte americana, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, John Bolton, ha voluto sottolineare l’interesse mostrato da Trump verso un incontro con Putin. “Il presidente Trump – ha affermato Bolton – non vede l’ora di incontrare il presidente Putin al prossimo vertice del G20 a Osaka, in Giappone, nei prossimi giorni”. Inoltre, secondo quanto riferito da un funzionario americano, è altamente probabile che – al centro dell’incontro – saranno posti temi come l’Iran e la Siria.

L’ULTIMO INCONTRO FRA TRUMP E PUTIN 

L’ultima volta che i due presidenti si sono incontrati è stato lo scorso dicembre a Buenos Aires: un meeting breve, che seguì al ben più ampio summit organizzato a Helsinki a luglio del 2018. In quell’occasione, i due mostrarono un’ottima sintonia. Una sintonia che non risultò tuttavia foriera di disgelo: all’epoca Trump era ancora sospettato del reato di collusione con la Russia durante la campagna elettorale del 2016 e alcune sue durissime critiche all’intelligence americana in quello stesso contesto scatenarono un’autentica bufera in patria. Oggi, la situazione è mutata e i segnali per avviare un processo di distensione non sono pochi.

TUTTI I DOSSIER, DIVISIVI E NON, TRA USA E RUSSIA

Innanzitutto non va trascurato che, da entrambe le parti, si sia continuato a cercare un canale per il dialogo negli ultimi mesi. Trump ha di fatto ribadito la volontà di tentare un disgelo con i russi: un obiettivo che il magnate newyorchese si prefissato già dai tempi della campagna elettorale. In secondo luogo, come si accennava, il presidente americano si è oggi liberato della spada di Damocle dell’inchiesta Russiagate: il capo di imputazione principale (l’accusa di collusione con il Cremlino) è difatti caduto. E questo elemento rappresenta un’arma in meno a disposizione di chi, all’interno dell’establishment di Washington, ha sempre cercato di mettere i bastoni tra le ruote a questa distensione. In terzo luogo, non bisogna trascurare i profondi mutamenti politici che hanno recentemente caratterizzato l’Ucraina. La sconfitta del presidente antirusso, Petro Poroshenko, alle presidenziali di aprile ha infatti parzialmente aperto la strada alla possibilità di un dialogo tra Casa Bianca e Cremlino in relazione al complicato dossier della Crimea. Nonostante non sia ancora del tutto chiara la linea del nuovo capo di Stato, Volodymyr Zelensky, i presupposti per un disgelo sembrerebbero esserci. E una eventuale risoluzione della questione ucraina potrebbe – almeno sulla carta – determinare un riavvicinamento tra Washington e Mosca. Non dimentichiamo del resto che la politica del reset russo, adottata ai suoi tempi da Barack Obama, si infranse nel 2014, in occasione dell’annessione della Crimea da parte di Putin.

Certo: di dossier divisivi sul tavolo ce ne sono. E il fatto stesso che saranno probabilmente le questioni di Iran e Siria al centro del prossimo colloquio tra i due presidenti mostra come proprio il Medio Oriente rappresenti la principale spina nel fianco della distensione. In Siria, Putin ha ormai consolidato la propria influenza geopolitica. Trump ha annunciato mesi fa la volontà di ritirare le truppe statunitensi dalla regione: una decisione che – neanche a dirlo – il presidente russo mostrò di apprezzare. Ciononostante le alte sfere dell’esercito americano stanno raffrenando i piani della Casa Bianca: dalle parti del Pentagono temono infatti che un abbandono dello scacchiere siriano rappresenterebbe un’occasione per la Russia di consolidare ulteriormente il proprio potere nello scenario mediorientale. Inoltre, non bisogna trascurare l’acuirsi delle tensioni lo scorso maggio, quando la Casa Bianca è tornata ad accusare il presidente siriano Assad (storico alleato di Putin) di aver usato armi chimiche. La Siria rappresenta quindi uno scenario complesso: uno scenario rispetto a cui Trump dovrà trovare una sintesi tra la propria linea di disimpegno e l’approccio più duro invocato dai falchi di Washington.

Senza poi dimenticare le connessioni che questo dossier presenta con la questione iraniana. Israele e Arabia Saudita auspicano da tempo un allontanamento dal territorio siriano delle forze armate finanziate da Teheran. Una posizione che il Cremlino non sembra troppo propenso ad accettare. In tal senso, anche sull’Iran – altro storico alleato mediorientale del presidente russo – la situazione appare in chiaroscuro. Se è vero che Washington stia aumentando notevolmente la pressione economica e militare sulla Repubblica Islamica, è altrettanto indubbio che la decisione presa da Trump di non attaccare militarmente Teheran in risposta all’abbattimento del drone potrebbe rivelarsi un fattore di avvicinamento tra il presidente americano e il suo omologo russo. Certo: la strada non è in discesa. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha per esempio appena espresso viva preoccupazione per le nuove sanzioni comminate dallo Zio Sam contro Teheran: sanzioni non a caso definite “allarmanti”. Inoltre, il segretario alla sicurezza russa, Nikolai Patrushev, ha nelle ultime ore dichiarato che il drone abbattuto avrebbe violato lo spazio aereo iraniano. Ciò detto, il rifiuto di un intervento militare da parte di Trump la settimana scorsa non può che aver fatto piacere dalle parti del Cremlino.

BOLTON E TRUMP: QUALE POLITICA PERSEGUIRE CON LA RUSSIA?

Più in generale, al di là dei singoli dossier, sulle sorti della distensione tra Stati Uniti e Russia si rivelerà dirimente la posizione dei falchi di Washington: a partire proprio dallo stesso John Bolton. Non solo il consigliere per la sicurezza nazionale americano invoca da sempre la linea dura in Iran, Siria, Venezuela e Corea del Nord. Ma anche nei confronti della Russia la sua posizione è storicamente non poco ostile. E non è escludibile che, se Trump proseguirà nella strada del disgelo, possano sorgere attriti tra il presidente americano e il suo consigliere. Come del resto già accaduto negli ultimi giorni.

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