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Il lavoro che comunque c’è ma che non è governato e soprattutto sostenuto

A chi prefigura scenari apocalittici – con milioni di posti di lavoro distrutti – gli ottimisti rispondono in maniera altrettanto ideologica, ripetendo il Sia lode ad progresso! del Faust. Il fatto è che ci addentriamo in una selva oscura infestata di azzeccagarbugli di cui conosciamo le gesta scomposte attraverso i tweet e le poche azioni confuse, ma ne ignoriamo completamente le reazioni e soprattutto ne temiamo le conseguenze: ovvero cosa ci dobbiamo attendere dalle scoperte scientifiche, nel sollecitarne di nuove, magari in grado di porre riparo o di contenere gli effetti negativi delle prime?

Noi, di solito, siamo propensi a immaginare il futuro proiettando in avanti le conoscenze del presente ma care amiche ed amici al di là delle premonizioni e degli allarmismi e delle visioni catastrofiche della digitalizzazione che è entrata a far parte della filosofia (spicciola) del governo attuale , dobbiamo rigorosamente attenerci alle elaborazioni serie delle istituzioni. Ricordiamo il documento che riassunse l’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione Lavoro del Senato. ‘’L’idea che lo sviluppo tecnologico sia un fenomeno incontrollato ed incontrollabile, un destino al quale tutti sono costretti – è scritto – è una comoda modalità per non interessarsi dei processi che stiamo vivendo.

LA RIVOLUZIONE DIGITALE

 

Così come lo è il negare che sia proprio la tecnologia ad aver consentito negli ultimi decenni un miglioramento della qualità del lavoro e della produttività delle imprese, oltre che della vita di ognuno, e allo stesso tempo creato nuovi lavori. Si calcola che in 27 Paesi europei la digitalizzazione abbia prodotto 11,6 milioni di posti di lavoro aggiuntivi tra il 1999 e il 2010. Questo ha portato – prosegue il documento – anche alla scomparsa di altri posti in un fenomeno che è di sostituzione e trasformazione, non di pura distruzione. Se le ricostruzioni storiche ipotizzano tassi di occupazione del 65% nel settore agricolo nel basso Medioevo, oggi questi tassi negli stessi Paesi europei sono intorno al 3% pur con i volumi della produzione agricola che sono drasticamente cresciuti e con una ridistribuzione del lavoro nei settori industriali e poi dei servizi.

I NUMERI OCSE

Sembrano così difficilmente sostenibili le tesi secondo le quali il 47% o più delle occupazioni verranno automatizzate nei prossimi anni o, come ha sostenuto il World Economic Forum, scomparirebbero cinque milioni di posti di lavoro senza alcuna sostituzione entro il 2025. Le stime Ocse – precisa il documento della Commissione – prevedono invece per l’Italia un 10% di soggetti ad alto rischio di automatizzazione e un 44% di occupati le cui mansioni cambieranno radicalmente. Ciò non vuol dire che non si verificheranno problematiche e che queste non siano già presenti, ma solo in una prospettiva non apocalittica è possibile affrontare le sfide della digitalizzazione nel mondo del lavoro muovendo con determinazione dalla centralità della persona’’. Certo bisogna investire in formazione ma se come ci documenta l’Istat sul Rapporto del costo del lavoro in Italia l’investimento delle imprese è per la formazione solo il 0,2%della spesa per i lavoratori è chiaro che siamo indietro molto indietro e questo governo evidentemente non è in grado di aiutarci ad essere al passo con i tempi proponendo riforme del costo del lavoro adeguate e per investire in formazione.


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