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Le ragioni profonde della decrescita demografica

Un bel paper pubblicato di recente dal NBER dedicato al declino demografico che ormai da oltre un secolo interessa l’Europa, prova finalmente a portare l’attenzione su fattori diversi da quelli economici che, “pur se necessari” non vengono giudicati sufficienti a spiegare quella “transizione demografica” che ci ha condotti dove siamo adesso: ossia abitanti di società destinate a un invecchiamento che sembra irreversibile.

Per i lettori di questo blog non sarà una sorpresa scoprire che i fenomeni culturali – ossia l’evoluzione delle norme sociali – contribuiscono almeno parimenti alla scelta di avere o non aver figli. E d’altronde è noto da tempo agli specialisti che l’approccio economicistico, che tende a spiegare tutto in termini di costo/opportunità, conviva più o meno felicemente osservato, con quello socio-antropologico che dà invece priorità all’evoluzione del contesto. Molto salomonicamente, gli autori del nostro paper liquidano la controversia sottolineando come “le influenze culturali ed economiche hanno giocato entrambi un ruolo importante ruolo nella transizione della fertilità”. Con ciò regalando finalmente una parvenza di scientificità al buon senso comune.

Detto ciò, è interessante osservare quali possano essere alcune determinanti di queste “influenze culturali”. Mentre molto si scrive e si dice su quelle economiche – gli incentivi monetari a fare o non fare figli – poco si discute della forza delle idee che sono capaci di impattare quanto e forse più del semplice incentivo economico in una decisione così importante. Nel nostro piccolo abbiamo provato a far emergere questo curioso paradosso discorrendo di come Francia e Germania, che pure condividono una notevole prossimità geografica, oltre che culturale, abbiano demografie completamente differenti. E questo malgrado lo stato tedesco non manchi di incentivi economici alle famiglie.

Il nostro paper, analizzando un dataset che spazia dal 1830 al 1970 si dedica proprio all’importanza delle influenze culturali e si focalizza su quelle che sono provenute dall’area di lingua francese, giudicata una delle determinanti del cambio comportamentale che ha contribuito alla transizione demografica. Sembra proprio che, per colmo di paradosso, la Francia, uno dei pochi paesi europei ad avere un saldo demografico quasi positivo, sia sta la “mamma” del declino della fertilità che piano piano si è contagiato agli altri paesi.

Le famiglie francesi infatti, secondo quanto riportato, hanno visto declinare in modo permanente il proprio livello di fertilità “fino ai livelli moderni” già da prima del 1830. Sono state antesignane, insomma. Anche se tale “modernità” non si è diffusa con la stessa rapidità dappertutto. I dipartimenti bretoni, ad esempio, più lontani dalla cultura media francese raggiungeranno i livelli media di fertilità solo nel 1905.

Rimane aperta la questione sul perché la Francia abbia sperimentato con così largo anticipo il declino demografico. Nel paper vengono ricordati i fattori politici e culturali, culminati nella rivoluzione francese. Rimane il fatto che quando il declino iniziò ad apparire evidente, nella seconda metà del XVIII secolo, “molti osservatori contemporanei lo attribuirono a un cambiamento degli standard morali”.

Vale la pena riportare, se non altro perché sembrano scritte oggi, le elucubrazioni di Jean Baptiste Moheau che nelle sue Recherches et considérations sur la population de la France del 1778 notava come “i francesi stanno facendo meno figli che in passato perché la gente è più interessata ai propri egoistici interessi ed è meno disposta a sopportare l’alto costo di avere figli, e al tempo stesso non sente più l’obbligo morale di riprodursi per dovere religioso e civile”. Dovere religioso e civile, notate bene. L’affievolimento del senso civico-religioso, quindi, come contraltare dell’emersione della propria individualità. Confina con la nota di colore l’annotazione di uno studio, sempre citato nel paper, secondo il quale “la sottoscrizione all’Enciclopedia di Diderot, risultava, nel 1831, correlata negativamente con la fertilità nei vari dipartimenti”.

Ma è più interessante osservare che “il declino della fertilità si è verificato molto prima e inizialmente in modo più ampio nelle comunità culturalmente più vicine ai francesi, mentre la transizione della fertilità si diffuse solo più tardi a quelle società che erano più distanti da questa frontiera culturale”. Distanti innanzitutto linguisticamente. Ad esempio in Belgio, le comunità francofone vallone hanno visto declinare la propria fertilità assai prima di quelle di lingua olandese. Le lingue d’altronde, sono una determinante fondamentale delle relazioni economiche e ciò malgrado questo contributo viene totalmente ignorato nell’analisi economica, che tende a ragionare come se tutti parlassero inglese. E non è il solo, ovviamente.

Come ogni generalizzazione, ovviamente, anche quelle del paper vanno prese con le pinze, e valgono come elemento di dibattito non certo come verità acquisite. E tuttavia vale la pena discorrerne, se non altro per compensare certe analisi monoculari che riducono la decisione di avere figli a una semplice scelta di portafoglio. In particolare, vale la pena osservare che “in media, società con maggiore livello di istruzione, minore mortalità infantile, maggiore urbanizzazione e più alta densità della popolazione avevano livelli più bassi di fertilità durante il 19 ° e il 20 ° secolo”. Il benessere, si potrebbe dire, sembra scoraggi la natalità. Sempre per colmo di paradosso.

Nell’analisi degli economisti, che viene sviluppata in un modello, le scelte di fertilità vengono compiute tenendo conto dei costi intrinseci e dei benefici, ma anche “delle norme diffuse nei gruppi culturali vicini”. Sicché “la transizione da alta a bassa fertilità è il risultato dell’innovazione sociale e delle influenze sociali”. Una di queste innovazione è stato l’affievolimento dello stigma “associato al controllo della fertilità all’interno del matrimonio”, sottolineano. Quindi in sostanza, l’affievolimento di una prassi di natura anche religiosa, come gli stessi economisti osservano.

Insomma, la transizione demografica è in qualche modo legata alla secolarizzazione delle nostre società.  Quest’ultima, d’altronde, ha favorito il suo arricchimento, visto che è associata all’emersione della borghesia e del capitalismo, che a sua volta ha generato le idee (francesi ma non solo) che hanno condotto al calo della natalità. Forse il capitalismo morirà di vecchiaia. Ma questa conclusione non fa parte del paper. Per due economisti è un po’ troppo.

Twitter: @maitre_a_panZer



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