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Segnali di vita su Marte? Cosa significa il metano sul Pianeta rosso

Segnali di vita su Marte? A meno di un anno dalla scoperta di acqua nel sottosuolo marziano (grazie a un radar italiano), ecco nuove tracce che alimentato le aspettative di trovare vita sul Pianeta rosso. La notizia lanciata dal New York Times ha fatto in poco tempo il giro del mondo: il rover Curiosity della Nasa ha individuato un aumento considerevole di metano nell’atmosfera.

SEGNALI DI VITA?

Nel nostro Pianeta il metano viene solitamente prodotto da organismi viventi. Per questo, quando sono arrivati i dati dei rilevamenti dello scorso mercoledì, con il segnale di presenza del gas in grande quantità, gli scienziati dell’agenzia americana sono saltati dalle sedie. “Visto questo sorprendente risultato, abbiamo riorganizzato il weekend per eseguire un ulteriore esperimento”, ha raccontato Ashwin R. Vasavada, responsabile del team scientifico della missione. Curiosity (lanciato nel 2011 con la missione Mars Science Laboratory) è stato dunque indirizzato verso nuovi rilevamenti, e informazioni maggiori sono attese per il prossimo lunedì. Ad alimentare le aspettative ci sono i numeri rilevati. Se nel 2012 il rover non individuò presenza di metano, un anno dopo registrò un picco fino a 7 parti per miliardo, con una durata di circa sessanta giorni. I dati arrivati giovedì scorso parlavano invece di ben 21 parti per miliardo.

IL PUNTO DELLA NASA

La Nasa ha comunque fatto trasparire grande cautela, confermando le indiscrezioni del New York Times, ma invitando ad aspettare nuovi dati. “Sebbene i livelli di metano in aumento misurati da Curiosity siano motivo di eccitazione come possibili indicatori di vita, è importante ricordare che si tratta di uno dei primi risultati scientifici; per mantenere l’integrità scientifica, il team scientifico continuerà ad analizzare i dati prima di confermare i risultati”, ha spiegato Thomas Zurbuchen, numero uno del direttorato Science della Nasa.

IPOTESI PLAUSIBILI

D’altra parte, l’entusiasmo pare giustificato. In un’atmosfera rarefatta come quella marziana, la presenza di metano in quantità significative è piuttosto anomala, poiché la luce del Sole e le reazioni chimiche che contraddistinguono l’ambiente del Pianeta rosso non ne permetterebbero la presenza. Ciò significa, dicono gli esperti, che il gas sarebbe stato rilasciato poco prima che il rover analizzasse l’aria. Oltre i microrganismi, ci sarebbero tuttavia almeno altre due possibili spiegazioni. Il rilascio potrebbe essere stato originato da reazioni geotermiche, dovute agli sbalzi di temperature, che nulla hanno a che fare con attività biologiche. Un’altra ipotesi è che il metano fosse presente da tempo nel Pianete, magari al riparo sotto la superficie, da cui potrebbe essere uscito attraverso le crepe nel terreno.

L’ACQUA SU MARTE

In ogni caso, il fermento della comunità scientifica dello Spazio è palpabile. Anche perché la scoperta arriva a meno da un anno dall’individuazione di acqua liquida (quasi sicuramente salata) nel sottosuolo marziano. A individuarla era stato a luglio 2018 il radar Marsis, realizzato in Italia da Thales Alenia Space, con la collaborazione di Nasa e Jpl, e integrato sulla sonda europea Mars Express. Per la prima volta in assoluto si era riscontrata la presenza di acqua liquida sotto la superficie di Marte, elemento che potrebbe nascondere con sé le presenza di organismi viventi.

L’ANNO CHE VERRÀ

Si tratta di tracce e rilevamenti che arrivano da un sistema composito per l’esplorazione del Pianeta rosso. Oltre al rover Curiosiy e alla sonda Marx Express, c’è in orbita intorno a Marte il Trace Gas Orbiter lanciato nel 2016, protagonista della prima fase di ExoMars. L’obiettivo è incrociare i dati delle varie missioni e fornire una mappa utile a quelle che verranno. L’attesa è tutta per il 2020. L’anno prossimo partiranno infatti sia la missione Nasa Mars 2020 che la seconda fase di ExoMars. La prima è pensata dagli americani anche nell’ottica di stoccaggio di campioni marziani. La seconda sarà dotata di un drill capace di perforare la superficie fino a due metri di profondità. Vista la contemporaneità delle missioni e la vicinanza degli obiettivi, Nasa e Agenzia spaziale europea (Esa) hanno già siglato un accodo. Più in là, infatti, si lavorerà sul recupero dei campioni e il loro ritorno a Terra.

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