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A Milano per capire se e come commerciare con l’Iran senza far arrabbiare Trump

Di Alessia Piccinini
Iran

USA E IRAN: UNA STORIA DI SCONTRI

Nell’anno del quarantesimo anniversario della Rivoluzione Khomeinista in Iran, le relazioni tra Stati Uniti e Repubblica Islamica sembrano muoversi nuovamente in bilico sul filo di una ragnatela. Le azioni dell’elefante americano preoccupano però la comunità internazionale: il suo rafforzamento militare in Medio Oriente, con l’invio tra le altre cose di missili Patriot e della squadra navale della portaerei Abraham Lincoln, fa riflettere, e spinge il Consiglio di Sicurezza nazionale iraniano ha parlare di “guerra psicologica”. È il preludio di un nuovo conflitto nella già martoriata regione o il frutto di una strategia aggressiva che parte dalle sanzioni economiche e che si spinge sempre al limite, quale ha sempre dimostrato di seguire il presidente Trump?

LE ORIGINI DEL CONFLITTO

La divergenza tra i due paesi ha una storia lunga e definita da continue minacce e provocazioni: con la rivoluzione del 1979, infatti, vi sarebbero state ripercussioni non solo nella struttura statale interna iraniana, ma anche su una serie di equilibri geopolitici, religiosi ed economici nell’intera regione Medio Orientale. La Repubblica Islamica dell’Iran, oltre a ricostruirsi su un nuovo Consiglio dei Saggi (velayat-e faqih) formato da esperti giuristi musulmani, e a cambiare quindi la propria Costituzione, decise di chiudersi al mondo esterno. Le idee rivoluzionarie, le quali proponevano una realtà panislamica fondata sulla dicotomia tra oppressi ed oppressori, spaventava la famiglia reale dei ‘Saud, già allora alleata degli Stati Uniti ed egemoni nella regione. Iran ed Arabia Saudita sono da sempre contrapposti dalla ormai nota divisione che contraddistingue il mondo islamico, quella tra sunniti e sciiti. Divisione che ha avuto risalto nel corso degli ultimi anni più per strategie politiche che per una effettiva incompatibilità di pratica religiosa.

LO SCONTRO CON GLI USA…

Lo scontro con gli Stati Uniti nella regione è continuato con la quasi decennale guerra irachena contro l’Iran (1980-1988), la quale venne coadiuvata da finanziamenti americani al governo di Saddam Hussein. I rapporti tra Stati Uniti e Iran sono in seguito peggiorati nel corso degli anni, prima per le minacce iraniane contro lo Stato di Israele, e poi per la crescente influenza esercitata dall’Iran in molti movimenti e partiti sciiti nella zona della cosiddetta Mezzaluna Sciita.

…E CON L’ARABIA SAUDITA

Lo scontro tra Iran e Arabia Saudita, inoltre, principale alleato americano in Medio Oriente insieme ad Israele, si palesa anche sul piano geoeconomico: le divergenze e le rivendicazioni sullo stretto di Hormuz, in cui passa circa il 20% di tutto il commercio petrolifero mondiale, si susseguono ancora oggi; senza contare il fatto che entrambi i paesi sono tra i maggiori produttori di petrolio al mondo, concorrenti rivali nella vendita del greggio. Con l’intensificarsi della pressione americana sull’Iran, la Repubblica Islamica ha lasciato intendere che vi potrebbe essere un’interruzione del traffico di petrolio nello stretto di Hormuz.

LA LISTA NERA DEGLI USA

Il 15 aprile, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha inoltre annunciato che, per la prima volta, la Guardia Rivoluzionaria iraniana è stata inserita nella “lista nera” americana delle organizzazioni terroristiche.
In risposta a questo, il 29 aprile, il Consiglio Supremo iraniano di Sicurezza (SNSC), il principale organismo di sicurezza del paese, ha designato l’Amministrazione americana come “sostenitrice del terrorismo” nel mondo e il Comando centrale degli Stati Uniti per l’area del Medio Oriente (CENTCOM) come “un’organizzazione terroristica”.
Questo breve resoconto geopolitico ci permette di inquadrare in un’ottica più ampia il panorama entro cui si stanno muovendo le strategie economiche dell’l’Unione europea, o più precisamente di alcuni Stati membri dell’Unione, verso il regime sanzionatorio degli Stati Uniti contro l’Iran.

SANZIONI ALL’IRAN

Con l’amministrazione Obama e la conseguente stipula del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) nel luglio del 2015, documento siglato dai 5 membri del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, congiuntamente a Unione e europea e Germania, la Repubblica Islamica ha visto riconoscersi la possibilità di poter far parte del sistema economico internazionale. Le cose sono però nuovamente precipitate con la vittoria elettorale di Donald Trump, intransigente con la Repubblica Islamica considerata tra i suoi più pericolosi rivali e quindi spinta nuovamente nella voragine dell’isolamento internazionale. Trump ha da subito chiarito cosa rappresentasse l’Iran per gli Stati Uniti: una minaccia. Comincia così una nuova fase per le relazioni bilaterali di questi due paesi: quello dell’applicazioni di nuove sanzioni, che lo stesso Trump ha definito “le più pesanti” che gli USA abbiano mai emesso.

LE SANZIONI

Le sanzioni sono state suddivise in due differenti tranches: le prime sono state avviate a partire dall’agosto scorso, con l’introduzione, tra le altre cose, di limitazioni all’acquisto o all’acquisizione da parte dell’Iran di dollari statunitensi. Mentre le seconde sono state avviate nel novembre scorso, esattamente il 4 novembre, data simbolica per entrami i paesi dal momento che ricorda la presa dell’ambasciata americana a Teheran. Queste ultime hanno riguardato sanzioni a danno dei settori energetico, dei trasporti marittimi, del trasporto navale ad uso civile e petrolifero. Sono state inoltre reintrodotte sanzioni su tutti gli istituti di credito internazionali che opereranno con la Banca Centrale Iraniana (ICB). Il 5 novembre l’amministrazione statunitense ha poi proceduto a rimuovere dall’elenco allegato all’Executive Order 13599 tutti i soggetti riconducibili alla categoria “Government of Iran” o “Iranian financial institution”, reinserendoli all’interno dello Specially Designated Nationals and Blocked Persons list (SDN list).

FINE DELLE DEROGHE

Sempre a novembre però, Trump ha concesso alcune deroghe dalle sanzioni a Cina, Giappone, India, Corea del Sud, Turchia, Taiwan, Grecia e Italia. Questi otto paesi andavano a costituire circa l’80% del totale dell’acquisto di greggio iraniano e avrebbero potuto continuare ad acquistarlo per i successivi sei mesi; questo per evitare di destabilizzare il mercato petrolifero. Il 22 aprile, scaduto il tempo, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato che, a partire dal 2 maggio, gli Stati Uniti avrebbero posto fine alle deroghe sulle sanzioni delle importazioni di petrolio iraniano. L’isolamento voluto dagli USA, però, potrebbe far crescere nuove e più forti opportunità e relazioni tra la Repubblica Islamica ed i paesi ad Oriente, come la Cina, Russia, India e Corea del Sud.

LE IMPLICAZIONI DELLE SANZIONI

Per capire quali implicazioni comportino le sanzioni americane sul commercio del petrolio iraniano, può essere utile evidenziare alcune differenze con le precedenti sanzioni relative al periodo 2012-2015. L’embargo relativo a questo periodo fu il risultato di una percorso condiviso nel fronte transatlantico: in questa occasione l’Amministrazione Obama decise di imporre una riduzione, per quanto “significativa”, delle importazioni petrolifere dall’Iran, e non il blocco “totale” come voluta oggi da Trump. Questo significa che l’obiettivo di Washington non sembra essere quello di una semplice opera di dissuasione dal perseguire il programma nucleare per scopi militari, ma quello di isolare completamente la Repubblica Islamica dal punto di vista economico, probabilmente con lo scopo di indurre un processo di regime-change. Trump però sembra non aver fatto i conti con il colosso cinese: le importazioni di greggio iraniano da parte di Pechino, sono infatti la principale fonte di introiti per Teheran, corrispondenti a circa 29,3 milioni di tonnellate, pari a circa 585.400 barili di petrolio al giorno. Per ora non sembra che la Cina sia disposta a rinunciare a questa fornitura, e a questo alleato strategico per la costruzione della Nuova via della Seta, almeno nel breve periodo.

L’UNIONE EUROPEA… 

In seguito alla reintroduzione delle sanzioni statunitensi di natura secondaria (o extra-territoriali), ovvero di tutte quelle sanzioni che colpiscono le imprese non americane che intrattengono rapporti commerciali con l’Iran, escludendole temporaneamente dal mercato americano, l’Unione europea si è mossa per incrementare alcuni strumenti politici difensivi. Prima di tutto, nell’agosto scorso, ha aggiornato il Regolamento di blocco (Regolamento 2271/96), il quale impedisce ai soggetti europei di adeguarsi alle sanzioni secondarie statunitensi. Questo è stato definito però “regolamento di resistenza” dall’Avvocato esperto di sanzioni internazionali Marco Padovan, poiché, in realtà, non è stato possibile inserire nel corso dell’aggiornamento la possibilità di mettere in atto azioni ritorsive, da parte dell’Unione, nei confronti degli Stati Uniti o delle imprese non europee che dovessero mettere in difficoltà gli operatori europei.

…E INSTEX

A settembre, poi, l’Unione europea ha annunciato la costituzione di uno “Special Purpose Vehicle” (SPV): a inizio anno, il 31 gennaio, l’Alto Rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, ha dichiarato come Regno Unito, Francia e Germania abbiano messo a punto l’ “Instrument In Support Of Trade Exchanges” (INSTEX). Si tratta di un canale di pagamento sostenuto da Bruxelles che permetterà ai paesi che aderiranno a questo nuovo canale commerciale di continuare a fare affari in modo legittimo con l’Iran. Nello specifico, le esportazioni iraniane verso l’Europa consentiranno a Teheran di accumulare un credito da utilizzare per l’acquisto di prodotti europei provenienti da piccole e medie imprese in settori come l’agroalimentare o il farmaceutico, in linea con la decisione della Corte Internazionale di Giustizia (3 ottobre 2018) sull’affaire sanzioni Usa-Iran. Secondo la CIG infatti, gli Stati Uniti hanno l’obbligo di non sanzionare il commercio relativo a queste categorie di prodotti.
L’Unione europea non ha contribuito in qualità di socio alla costituzione del veicolo speciale, ma la sua attività di promozione e sostegno diplomatico è risultata determinante per l’iniziativa.

L’APPREZZAMENTO DELL’IRAN

I vertici iraniani hanno accolto con favore l’istituzione di questo nuovo strumento. Al fine di rendere pienamente operativo INSTEX, la Repubblica Islamica ha dovuto però procedere alla costituzione di uno strumento simile che dovrà essere capace di interloquire con il nuovo special purpose vehicle nei termini richiesti dal Gruppo d’azione finanziaria internazionale. Per questa ragione, il 20 marzo scorso in Iran è stata registrata un’entità denominata “Special Trade and Finance Istitute” (STFI), il quale dovrebbe operare come controparte iraniana di INSTEX.
La domanda ora è se le aziende europee usufruiranno effettivamente di tale strumento: la paura infatti è quella di essere sottoposti a sanzioni statunitensi, dal momento che la maggior parte delle grandi aziende ha attività negli Stati Uniti. Proprio per questa ragione potrebbe risultare vantaggioso per le piccole e medie imprese europee, non esposte direttamente all’influenza americana, aprire nuovi canali commerciali con la Repubblica islamica, evitando da una parte una forte concorrenza con le multinazionali e allo stesso tempo evitare le sanzioni americane.

L’EVENTO A MILANO

Proprio di questo si discuterà il 21 giugno a Milano, nel corso del primo Congresso europeo AT+ICA, organizzato dallo Studio Legale Padova in collaborazione con Assolombarda. In questa occasione le aziende europee, ed italiane in particolare, avranno modo di confrontarsi sui possibili sviluppi commerciali legittimi con la Repubblica Islamica.

UN FOCUS SULL’ITALIA

La nuova politica americana ha da subito avuto ripercussioni sul mercato europeo, a partire soprattutto da quello italiano: la Camera di commercio italo-iraniana ha evidenziato come l’export italiano verso l’Iran sia calato dello 0,8% nel periodo gennaio-dicembre 2018, mentre l’import è sceso del 13,2%. Prima delle sanzioni, l’Italia era il primo partner commerciale europeo di Teheran per importazioni di greggio e nelle esportazioni era seconda solo alla Germania. L’Iran infatti rappresenta per l’Italia il terzo fornitore di petrolio con una quota del 12,5% sull’import complessivo, anteceduto solo da Iraq e Azerbaijan. Per tutte queste ragioni, il sottosegretario all’economia Massimo Garavaglia, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare su come intenda agire il Governo rispetto al nuovo strumento INSTEX, risponde che l’Italia sta procedendo con diverse valutazioni, coadiuvata dal Gafi/Fatf (Gruppo di Azione Finanziaria), dal momento che “si deve osservare che la costituzione di INSTEX attiene al contesto delle misure restrittive imposte all’Iran per il contrasto al programma iraniano di proliferazione nucleare”.

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