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Tutte le novità sui fondi all’industria della difesa. Il punto di Margelletti (CeSI)

Gli investimenti sbloccati dal Mise sono un segno positivo, ma ora occorre dare ad essi continuità e procedere anche per altri programmi. Le Forze armate e il comparto industriale hanno infatti bisogno di coerenza e pianificazione. Il rischio, in caso contrario, “è chiudere tutto e rinunciare alla Difesa”. Ne è convinto Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, con cui abbiamo parlato dei 7,2 miliardi sbloccati dal ministero dello Sviluppo economico per i programmi militari. Un annuncio, quello del Mise, seguito dalle parola di “massima soddisfazione” pronunciate dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

Ci spieghi prima di tutto di cosa si stratta. Sono investimenti effettivi, o è un piano per investire in futuro?

Si tratta dello sblocco dei finanziamenti per alcuni programmi già previsti per le nostre Forze armate. Probabilmente qualcuno si è accorto di due evidenze. Prima di tutto, che non si può immaginare di chiedere sempre alle Forze armate di assolvere a determinate missioni senza dar loro le capacità per farlo. Queste ultime non si acquisiscono con la volontà, ma con investimenti a lungo termine. Se il comune cittadino cambia un cellulare all’anno, è illusorio immaginare che i nostri militari possano svolgere compiti di notevole sensibilità con strumenti obsoleti.

E la seconda evidenza?

La seconda evidenza riguarda il coraggio necessario per superare un’ipocrisia tutta italiana. Si deve avere chiaro in mente che lo sviluppo tecnologico è intrinsecamente legato al mondo della Difesa. Dalla penna biro alla rete, dalle comunicazioni satellitari ai telefoni, dai comandi vocali alla criptazione a cui ricorriamo per proteggere i dati sui social media, tutto deriva dagli sviluppi tecnologici approntanti in contesti militari. Fingere che esista un mondo duale perché vogliamo sembrare più buoni, può andare bene per chi non conosce questo settore. Le Forze armate non dovranno mai essere duali semplicemente perché non lo sono; in tutto il mondo sono addestrate e preparate per svolgere compiti militari. Poi, chiaramente, attraverso le capacità che esprimono, risultano perfettamente in grado di fare anche altre cose, sempre per il dovere di proteggere la comunità in ogni maniera. Tuttavia non si può chiedere ai militari di fare cose per cui sono già pagate realtà locali che invece, evidentemente, non sono in grado di fare i rispettivi mestieri.

Tornando allo sblocco dei fondi del Mise, i programmi toccati dai finanziamenti riguardano richieste già pervenute dalle Forze armate?

Certo. Sono tutte esigenze palesate da anni. Ognuno dei programmi sbloccati è importante e atteso dalle Forze armate da diverso tempo. L’autoblindo Centauro ha visto il suo primo impiego operativo in Somalia nei primissimi anni 90. Poi è stato utilizzato praticamente in tutte le missioni all’estero dei nostri militari. È chiaro che occorre un programma per il rinnovamento. La stessa cosa vale per le Fregate europee multi-missione (Fremm): le navi vecchie vanno sostituite. A tal proposito bisognerebbe rendersi conto che lo stop and go fa alzare i prezzi.

L’invito a certezza programmatica è d’altra parte arrivato da tanti vertici industriali e militari. È una richiesta corretta?

Certamente, anche per i cittadini. Il senso della pianificazione militare è far spendere di meno al contributore, non di più. Mi rendo conto che posso dire una cosa scomoda, ma io non voglio pagare un oggetto di più, che sia un bullone o una nave da diecimila tonnellate, solo perché la pianificazione viene fatta sul desiderio di maggiore consenso politico. La classe dirigente deve dirigere. Cercare applausi è il lavoro degli attori, non dei leader.

Oltre ai Centauro e alle Fremm, ci sono diversi altri programmi, dagli elicotteri agli addestratori, passando per l’aggiornamento di mezza vita dei Tornado. Manca qualcosa?

Nel comunicato non si fa riferimento al sistema di difesa missilistica Camm-Er. Se non arrivasse anche per questo uno sblocco dei finanziamenti, sarebbe una disgrazia per l’industria nazionale. Si sente spesso parlare di fuga dei cervelli e della perdita dei giovani talenti. È inutile disquisire sulle ragioni del fenomeno se non diamo la possibilità di crescere e investire alle società italiane che producono alta tecnologia. Se il governo, e mi riferisco a un esecutivo di qualsivoglia colore, decide che le armi non ci piacciono, possiamo anche chiudere tutto, Polizia e Carabinieri compresi. Se, invece, decide che l’Italia deve avere capacità idonee ai propri interessi nazionali e allo svolgimento di operazioni volte alla pace in tanti teatri operativi, allora deve investire in tali capacità. Lo stesso vale per gli F-35.

Ci spieghi meglio.

È un esempio come se ne potrebbero fare tanti. Sul velivolo di quinta generazione assistiamo ormai da anni a una vera e propria buffonata. Si parla di costi, di velivolo buono o cattivo. La realtà è che rappresenta l’evoluzione dei biplani che avevamo durante la Prima guerra mondiale e che tra diversi decenni sarà sostituito da un altro velivolo. Serve per prendere il posto dei Tornado, a loro volta successori degli F-104 e, ancora prima, degli F-84. Le cose evolvono e le Forze armate si dotano di assetti sempre più avanzati. Né io né lei abbiamo la stessa macchina che avevamo a 18 anni. Se si vuole continuare a guidare un’automobile, quando diventa obsoleta occorre cambiarla; è un ragionamento semplice. Così avviene per la difesa. Non esistono armi buone o cattive; sono solo strumenti. Esistono piuttosto una politica buona e una cattiva.

In tal senso, lo sblocco dei fondi Mise può essere interpretato come un segnale positivo?

Direi di sì. È un segno positivo. La speranza è che ora ci sia continuità e non più un procedere a singhiozzo. La bontà di un governo si vede dalla continuità e dalla coerenza con cui agisce, non da momenti di improvvisa ebbrezza.

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