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Difesa, Usa e Cina puntano al mercato in Arabia Saudita. Mentre in Italia…

Mentre l’Italia discute sull’export militare all’Arabia Saudita e la Difesa europea rischia di tentennare dopo la decisione di Berlino di bloccare le proprie vendite, gli Stati Uniti avanzano convinti con le esportazioni dirette a Riad. Il mercato del Golfo è così attrattivo (e soprattutto così strategicamente rilevante) che Washington sembra disposta a fare ancora di più: ammettere l’aumento della proiezione cinese sulla regione, a patto che ciò possa servire a limitare le ambizioni dell’Iran. È quanto si può dedurre dall’indagine della Cnn che sta scuotendo il mondo della difesa d’oltreoceano. In breve, la Casa Bianca avrebbe volutamente evitato di condividere con il Congresso informazioni di intelligence riguardanti nuove vendite su tecnologie missilistiche da Pechino al Regno saudita, felice di poter controbilanciare il potere balistico di Teheran.

IL CASO ITALIANO…

La vicenda fa riflettere, soprattutto per il clamore del dibattito italiano relativo all’export militare verso Riad, finito al centro del botta e risposta tra le due forze di governo durante la campagna elettorale precedente al voto europeo. La nuova puntata è prevista per il 17 giugno, quando è si dovrebbe tenere a Montecitorio la discussione in aula (e successiva votazione) della mozione che chiede lo stop dell’export degli armamenti verso l’Arabia Saudita. A metà maggio, i riflettori si erano riaccesi sul dossier per le protese di alcuni lavoratori del porto di Genova contrari all’attracco della nave saudita Bahri Yanbu perché forse contenente materiali militari, sulla scia di simili rimostranze prima arrivate al porto francese di Le Havre. Tutto ha avuto però inizio con la decisione di Berlino quando, lo scorso ottobre, ha deciso di adottare un blocco unilaterale all’export militare verso Riad, a seguito dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.

…E L’APPROCCIO USA

Una scelta che non è piaciuta a diversi Stati europei, Francia e Regno Unito su tutti, poiché potrebbe avere effetti negativi sulle industrie del comparto, le cui vendite (su programmi comuni che coinvolgono le aziende tedesche, anche per piccoli componenti) rischiano di trovarsi sbarrato un mercato in sensibile crescita da diversi anni. A inizio anno, ciò è stato detto da una serie di esperti statunitensi, che sulle pagine del Washington Post hanno suonato un campanello d’allarme sulla nuova proiezione di Russia e Cina in Medio Oriente proprio attraverso le esportazioni nel campo della Difesa. Che Mosca e Pechino si facciano meno problemi quando si tratta di diritti umani è cosa nota. Ora però la vicenda narrata dalla Cnn introduce un nuovo elemento, confermando che l’approccio americano all’export militare (parte della politica di difesa e, dunque, della politica estera) risponde a visioni strategiche piuttosto chiare.

MISSILI CINESI AI SAUDITI

D’altra parte, la vendita di missili balistici made in China all’Arabia Saudita non è una cosa nuova. Già alla fine degli anni 80 arrivarono nel Regno i Dong Feng 3, vettori balistici a medio raggio (circa 2.500 Km), appositamente convertiti per trasportare testate convenzionali. Più di recente, una decina di anni fa, fu riportato l’acquisto dei più moderni Dong Feng 21, anch’essi con range regionale. Eppure, per almeno due ragioni, l’arrivo di nuove tecnologie balistiche dalla Cina assumerebbe oggi contorni ben più rilevanti. Prima di tutto, perché si aggiungerebbe alle ormai noti ambizioni di Riad di prima potenza regionale. Secondo, perché confermerebbe le velleità della Cina nel campo militare e dell’export della Difesa, una novità per il Dragone che sosterrebbe così la propria proiezione esterna.

GLI INTERESSI AMERICANI

È proprio questo secondo aspetto apparentemente collide con gli interessi americani. Rispetto a trent’anni fa, Pechino è ormai l’avversario numero uno degli Stati Uniti nel contesto globale. Lo hanno certificato tutti i documenti strategici della presidenza Trump, dalla National security strategy (Nss) alla Nuclear posture review (Npr). Accettare tacitamente il potenziamento dell’export militare cinese, per di più verso un Paese tradizionalmente alleato degli Usa, rischia in proiezione di aumentare di molto l’influenza di Pechino in giro per il mondo. Ciò può andare giù a Washington solo a fronte di un interesse maggiore, che in questo caso sarebbe il bilanciamento delle strapotere balistico iraniano nella regione del Golfo.

LA RABBIA DEI DEMOCRATICI

Una valutazione che comunque non è piaciuta ai dem del Congresso, anche perché (se confermata) sarebbe avvenuta senza alcuna informativa inviata all’organo parlamentare. La presidenza, in altre parole, avrebbe tenuto per sé notizie classificate dell’intelligence riguardanti le nuove vendite cinesi a Riad. Un elemento in più nel rapporto già critico tra Capitol Hill e Trump circa le relazioni da mantenere con l’Arabia Saudita. Dai parlamentari erano infatti già piovute abbondanti critiche sull’approvazione di nuove vendite militari a Riad pochi giorni dopo l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi a Istanbul.

IL PROGRAMMA MISSILISTICO SAUDITA…

D’altra parte, per il presidente Trump il rapporto con il Regno Saudita resta centrale per la politica americana in Medio Oriente. Un approccio (condito da abbondanti contratti militari) che dà vigore alle ambizioni di Riad, mirate ad affermarsi quale potenza mediorientale e arginare le simili velleità iraniane. A tale scopo, i missili balistici possono dare una mano importante. Non essendoci capacità (almeno per ora) per la produzione interna, il ricorso è chiaramente al mercato internazionale. La vendita americana di tali tecnologie è resa difficile dal Missile technology control regime (Mtcr) del 1987, ragion per cui lo sguardo dei sauditi si è rivolto ai cinesi, con cui i rapporti in questo campo, come detto, sono ormai consolidati. L’obiettivo di Riad nel medio-lungo termine è comunque quello di sviluppare l’interno comparto industriale e tecnologico per la difesa. A stabilirlo è il potenziamento del settore predisposto dall’erede al trono Mohammed Bin Salman con la Vision 2030. In tal senso vanno interpretate le notizie arrivate qualche mese fa circa una nuova struttura militare nell’entroterra del Regno che sarebbe stata ideata appositamente per il programma missilistico nazionale.

…E IL FOCUS SULLA DIFESA

Difatti, per le proprie ambizioni di potenza, i sauditi hanno da tempo fatto ricorso a uno strumento su tutti: l’aumento costante del budget per la Difesa, non sempre speso al meglio (in termini di costo-efficacia) ma così cospicuo da sopperire alla mancanza di una chiara pianificazione economica e strategica. L’autorevole Stockholm international peace research institute (Sipri) ha stimato che nel 2018 l’Arabia Saudita ha speso 67,7 miliardi di dollari (l’8,8% del Pil) nel settore della difesa, attestandosi come terzo Stato al mondo (dopo Stati Uniti e Cina) e primo nella regione del Golfo, nella classifica dei Paesi con la più alta spesa militare. Considerando solo il lato export, Riad è al primo posto dei Paesi importatori, ricevendo la maggior parte dei propri sistemi e armamenti da Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Nonostante questi numeri, per quanto riguarda la potenza militare, Riad si colloca al 26esimo posto (su 136 Paesi) nella classifica di Globalfirepower.com, a testimonianza di un sistema che ancora cerca la piena efficacia. Proprio qui, i desideri di potenza sauditi si incontrano con gli interessi cinesi di proiezione esterna.

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