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Così i Paesi Nato investono di più in Difesa. E in Italia…

I missili con la Russia, gli investimenti tra gli alleati e la spinosa questione turca. La riunione dei ministri della Difesa della Nato si apre oggi a Bruxelles, con un’agenda fitta di impegni e l’obiettivo di risolvere alcune questioni per preparare la strada al summit di dicembre, quando i capi di Stato e di governo si ritroveranno a Londra, sede del primo quartier generale, per chiudere le celebrazioni del 70esimo anniversario dell’Alleanza. Tra i dossier esterni, in cima all’agenda della ministeriale c’è ancora una volta il trattato Inf sui missili nucleari e le risposte da adottare rispetto alle violazioni russe. Tra quelli interni, permane la pressione Usa sulle spese da destinare alla difesa.

IL NUOVO REPORT

Sul nodo degli investimenti il segretario generale Jens Stoltenberg continua a mostrare il bicchiere mezzo pieno, anche se i dati continuano a mostrare uno sbilanciamento tra le due sponde dell’Atlantico. “L’aumento reale tra Europa e Canada è pari al 3,9%, il quinto incremento annuale consecutivo dei budget relativi; il trend è buono”, ha detto presentando l’ultimo report relativo alle spese dei singoli alleati. L’aumento effettivamente c’è stato, anche se minore rispetto al +4% dello scorso anno. A stonare sono comunque i numeri assoluti. Nel 2019, l’Alleanza prevede che gli Stati Uniti spenderanno per la difesa 730 miliardi di dollari. Il Vecchio continente arriverà a poco più di 284 miliardi, con una distanza che resta pressoché irraggiungibile.

GLI IMPEGNI DEL GALLES

In ogni caso, il dibattito che rischiò di far esplodere il summit di Bruxelles dello scorso anno è sulla fatidica soglia del 2%, quota del Pil da destinare alla difesa entro il 2024, come previsto dagli impegni assunti in Galles cinque anni fa. La media della Nato è al 2,51%. Anche in questo caso pesa il dato Statunitense. Washington destina alla Difesa il 3,4% del proprio Pil. L’Europa e il Canada, insieme, arrivano all’1,55%, comunque in aumento rispetto all’1,51% dello scorso anno. Poi, c’è il paramento del 20% (le cosiddette capability), cioè l’obiettivo, sempre entro il 2024, di destinare un quinto delle spese per la difesa agli equipaggiamenti. Intrecciando le due soglie, si nota come solo tre Paesi abbiano già soddisfatto i requisiti sanciti in Galles: Stati Uniti, Regno Unito e Romania. Si avvicinano Polonia, Lituania e Lettonia.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Resta complessa la situazione del nostro Paese, che secondo i dati Nato spenderà per la difesa 21,4 miliardi di dollari nel 2019, in lieve aumento rispetto ai 21,2 del 2018. A metterci in difficoltà è l’obiettivo del 2%. L’Italia spede per la difesa l’1,22% del proprio Pil, praticamente quanto lo scorso anno. Tra i principali Paesi europei, solo la Spagna fa peggio, con lo 0,97%. L’altra soglia, relativa al 20%, risulta superata già da diversi anni. Tuttavia, a saltare agli occhi è soprattutto la differenza in termini assoluti rispetto ai nostri principali alleati (e competitor) del Vecchio continente. Rispetto ai 21 miliardi italiani, la Francia ne spende 50,6, la Germania 54 e il Regno Unito addirittura 60,4.

IL PIANO DEL GOVERNO

Per recuperare terreno rispetto al computo del 2%, il ministro Trenta ribadirà ai colleghi la proposta già presentata lo scorso anno: considerare nella spesa anche i finanziamenti destinati a cyber-security e protezione delle infrastrutture critiche. Il piano italiano è esplicitato anche nel nuovo Documento programmatico pluriennale 2019-2021, ormai in fase di formale adozione, e si compone di altre tre mosse. Primo, lo sforzo diplomatico per evidenziare il contributo alle missioni (su questo siamo secondo solo agli Usa). Secondo, il computo anche delle risorse impiegate nella nascente difesa europea. Terzo, infine, adottare gli strumenti legislativi che permettano all’Italia di garantite le adeguate risorse per finanziare il necessario ammodernamento delle Forze armate, di assicurare la piena operatività dello strumento militare e di porsi in linea con i livelli di spesa nel settore dei principali alleati europei. Tutto questo per una consapevolezza chiara: gli impegni in ambito Nato contano, e parecchio.

IL DOSSIER TURCO

Nel frattempo, l’attesa per il vertice è anche per Mark Esper, nuovo segretario alla Difesa Usa pro tempore nominato da Donald Trump dopo il ritiro di Patrick Shanahan. Il capo del Pentagono, appena insediatosi, avrà a che fare con una difficile gatta. Oltre il dossier missilistico Inf, che l’Alleanza ha fatto proprio, l’attenzione sarà per il possibile faccia a faccia con il collega turco Hulusi Akar, anticipazione di quello che potrebbe verificarsi in Giappone tra Trump e Erdogan. L’obiettivo è risolvere la questione degli S-400, ormai in dirittura d’arrivo sul territorio turco con la conseguente estromissione dal programma F-35. Lo ha già ribadito lo stesso Esper ieri, chiarendo da subito che la sua linea sarà la stressa del suo predecessore: “Se la Turchia acquisisce l’S-400, significa che non riceverà l’F-35; è semplice”.

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