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L’Italia vada in Europa per cambiare le politiche di coesione. Parla Nicola Rossi

Le politiche di redistribuzione che hanno coinvolto il sud negli ultimi 25 anni hanno fallito. Questa è la tesi del pamphlet “Morire di aiuti” di Antonio Accetturo e Guido De Blasio, edito dall’Istituto Bruno Leoni. La legge 488 del 1992, che attribuisce incentivi attraverso agevolazioni alle attività produttive per le aree depresse, ha, secondo l’opinione degli autori, avuto un triplice effetto negativo: da un lato avrebbe deteriorato lo spirito civico della comunità nella quale si andavano a inserire, da un altro non è riuscito a non finanziare attività che avevano alle spalle organizzazioni non lecite e infine avrebbero incentivato fenomeni di corruzione.

Molto critico nei confronti degli aiuti al meridione d’Italia anche Nicola Rossi, economista ed ex parlamentare del centrosinistra, che del pamphlet ha firmato la prefazione ed è intervenuto alla presentazione insieme all’ex ministro Claudio De Vincenti.

Formiche.net ha parlato con il prof. Rossi e con l’ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni ha discusso dei nodi più critici che riguardano le politiche di coesione nazionali ed europee.

Cosa non ha funzionato delle politiche di coesione in favore del Mezzogiorno d’Italia?

Se si sta a quello che c’è scritto in questo utilissimo libro non ha funzionato nulla. Niente di ciò che abbiamo fatto negli ultimi 25 anni ha avuto veramente un impatto e non è strano che così sia. Le politiche messe in campo generavano incentivi perversi, non quelli che servono per mettere in piedi il Mezzogiorno ma per ingabbiarlo nella situazione in cui è adesso.

Quali sono stati questi meccanismi perversi?

Molte di queste politiche hanno selezionato una classe dirigente sbagliata che ha vissuto di queste politiche nutrendo le sue clientele, i suoi interessi e non quelli del Mezzogiorno.

Nel corso della presentazione del libro lei ha affermato che sarebbe un buon successo per l’Italia se ottenesse la nomina del prossimo commissario europeo alle politiche di coesione. Perché è importante?

Perché abbiamo bisogno di veder funzionare al meglio le risorse che vengono erogate attraverso i fondi europei, nell’attuale quadro di norme europee è impossibile. Quindi se c’è una battaglia da fare in Europa è esattamente per cambiare quelle norme. Discutere, come stiamo facendo, per modificare le regole di bilancio è ridicolo, non cambieranno e certo non cambieranno per noi. Mentre discutere delle regole che normano le politiche di coesione sarebbe molto utile.

In che modo dovrebbero cambiare?

Certo non dovremmo proseguire con questa attenzione che stiamo riservando alle Regioni e anche alle Province e ai Comuni. Dovremmo ridurre il numero degli obiettivi e degli interventi a pochissimi e non alle decine o centinaia come abitudine nostra. Le direzioni sono quelle ovvie, non è un caso che altri Paesi abbiano usato al meglio quelle norme aggirandole. Giustamente, hanno fatto bene.

Giustamente?

Sì perché quelle regole che l’Italia ha contribuito a scrivere, perché l’Italia ha convinto l’Europa a scrivere quelle norme in quel modo, erano regole prive di senso.

Tornando al piano nazionale, lei ha detto che un Contratto collettivo nazionale di lavoro uguale su tutto il territorio nazionale causa, inevitabilmente, lo spostamento di giovani lavoratori da sud a nord.

Bisogna sapere che se si sceglie un Ccnl con un contenuto economico identico su tutto il Paese bisogna accettare che il mercato del lavoro trovi un suo equilibrio con decine di migliaia di giovani che lasciano il Mezzogiorno per andare altrove. Se questo non piace bisogna capire che il Ccnl deve avere un contenuto normativo ma non economico, il quale dovrebbe essere fissato laddove si osserva la produttività e dunque a livello locale.

Ma in questo modo si tornerebbe alle gabbie salariali?

A noi fanno paura le parole. “Gabbie salariali” ha un significato negativo e ci fa paura, solo pronunciarlo ci fa pensare che quello che abbiamo in mente è sbagliato. Noi dobbiamo partire dall’idea che esistono più mercati del lavoro con livelli di produttività molto diversi e quindi la fissazione dei salari ne deve tenere conto. Questo se vogliamo preoccuparci dei ragazzi che si trasferiscono da sud a nord, se dei ragazzi ci importa poco o niente teniamoci quello che c’è.

Una norma che avrebbe dovuto risollevare le sorti economiche dei più poveri è il Reddito di cittadinanza, tra l’altro richiesto soprattutto al sud. Secondo lei è stata una misura utile?

L’Italia aveva bisogno di una misura di contrasto alla povertà, perché non l’aveva. Quella che è stata implementata è stata fatta in fretta, male e temo che alla fine non porterà grandi risultati né a chi l’ha ricevuto né a chi l’ha pensato. Sarebbe dovuto essere inserito in un piano di riforma del sistema fiscale che ancora non sappiamo quale sarà. Queste cose non vanno fatte di corsa, facendo le cose non presto e bene ma solo presto.

Se dovesse dare un consiglio a questo governo per aiutare il sud a tirarsi su, cosa direbbe?

Come ho già detto prima di tutto il Contratto collettivo nazionale di lavoro. E poi non è possibile che gli imprenditori del sud paghino la stessa imposta sulle persone giuridiche degli imprenditori del nord quando la dotazione di infrastrutture è molto diversa da quella del nord. Non ha senso.

 

 



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