La pubblicistica italiana e internazionale sul tema del populismo negli ultimi anni è stata copiosa, sono uscite decine di libri per cercare di comprendere uno dei principali fenomeni della politica contemporanea. Alcuni autori hanno prediletto un’impostazione scientifica e oggettiva per capire cosa sia il populismo, altri un taglio più ideologico volto a criticare e demonizzare i movimenti populisti e i loro elettori, altri ancora (pochi) hanno provato a immedesimarsi nelle scelte del popolo nel momento in cui è chiamato alle urne e sceglie di dare il voto ai populisti. Lo ha fatto Alain De Benoist nel saggio pubblicato nel 2017 da Arianna ma più di recente ci è riuscito con particolare successo il vicedirettore de “La Verità” Martino Cervo nel suo libro Il populismo non esiste uscito in allegato con il quotidiano. Cervo ha capito le cause che hanno portato in Italia e in Europa i populisti al successo facendo ciò che ogni giornalista e analista politico dovrebbe fare: togliersi per un momento i panni del cronista per indossare quelli del cittadino comune realizzando un’analisi scevra da pregiudizi ideologici e senza lo snobismo che caratterizza una certa stampa quando si affrontano temi come il populismo.
La tesi centrale del libro si può riassumere con quanto scritto a pagina 106: “ciò che va sotto il nome di populismo è la conseguenza diretta di una crisi politica profonda delle democrazie liberali, di cui le classi dirigenti paiono non accorgersi minimamente, aggravandola. A logica, la priorità dell’analisi andrebbe destinata all’indagine sulla genesi di tale crisi, mentre mediamente essa si concentra sui gusti prodotti dalla reazione a essa”. Così, riprendendo il titolo del saggio e quanto affermato da De Benoist, il populismo “appare solo quando la democrazia liberale ha dato prova dei suoi limiti”.
Ed è proprio nella crisi della democrazia liberale il cuore del problema, non sono i populisti ad “aver attentato alla democrazia, svuotandola dei propri valori” come scrive Maurizio Belpietro nella prefazione, quanto i partiti tradizionali che, con anni di politiche sconsiderate e lontane dalle esigenze delle persone, hanno generato la nascita dei movimenti populisti. Aggiungo che probabilmente il populismo non è la soluzione alla crisi politica che stiamo vivendo ma neanche il capro espiatorio a cui addossare una situazione che i movimenti populisti hanno ereditato e non certo creato. Può esserlo invece il conservatorismo o un sovranismo illuminato che riscopra la centralità della nazione nel contesto europeo, per farlo è però necessario evitare quanto avvenuto fino ad oggi in un contesto politico in cui “le élite europee hanno fatto tutto da sole, ignorando il popolo”.
Tutto passa dalla creazione di una nuova élite, non dalla demonizzazione tout court di chi ci deve guidare: “siamo di fronte a una sostituzione di élite non performanti che negano la possibilità stessa che alcuni tratti fondamentali del sistema vengano messi in discussione”.
Sarà necessario formare una nuova classe dirigente in grado di “costruire risposte percepite all’altezza” che sia vicina alle esigenze dei cittadini e in grado di svolgere il proprio dovere di rappresentante del popolo, superando la retorica dei competenti che vuole i tradizionali detentori del potere come custodi della competenza contrapposti agli inadeguati e impreparati populisti.
C’è poi il ruolo degli intellettuali che Cervo sintetizza citando in chiave attuale il celebre saggio di Julien Benda Il tradimento dei chierici, oggi il ceto intellettuale non è più inerme verso l’ordine nazionalista ma “la tendenza di fondo a puntellare un sistema di potere dubitando della democrazia pare un tratto ancora attuale, anche se esercitato ai giorni nostri soprattutto dai profeti della cosiddetta società aperta”.
Infine, il pregio del libro è la quantità di riferimenti bibliografici, rimandi ad altri autori e pensatori, collegamenti con articoli, che permettono al lettore di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze sul populismo senza imbattersi nell’ennesimo saggio con un approccio ideologico in cui certi autori, con la scusa di giudicare il populismo, puntano il dito con altezzosità verso gli elettori ricalcando certe dinamiche snobiste e radical-chic evidenziate con dovizia di particolari da Cervo.