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Il liberalismo è superato? Il filosofo Ocone legge Putin

Non capita facilmente di sentire gli attuali leader politici parlare di filosofia, incamminarsi cioè lungo i sentieri impervi di chi, per dirla con Hegel, cerca di apprendere il proprio tempo col pensiero. Va dato atto a Vladimir Putin di averlo fatto nella lunga intervista di scenario concessa al “Financial Times”.

Il capo del Cremlino non si è limitato, infatti, a dare uno sguardo geopolitico sul mondo, ma si è spinto fino a lambire il punto in cui vengono messe in gioco le idee o le ideologie che muovono gli uomini. In questa dimensione, egli ha fatto oggetto della sua attenzione il liberalismo, concependolo in sostanza come la teoria guida della globalizzazione. Si tratterebbe, a suo dire, di una ideologia obsoleta, superata dalla storia, che ha fatto il suo corso, che ha adempiuto il suo compito storico ma ora non è più sufficiente ad affrontare i problemi del nuovo tempo.

In particolare, essa “è entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione”: è diventata l’ideologia di una piccola élite autoreferenziale e lontana dal mondo reale. Non che l’idea liberale vada messa in soffitta, ma essa deve coesistere con altre idee senza pretendere di “essere il fattore dominante assoluto”.

Secondo Putin “le idee vanno tutte rispettate”. La crisi del liberalismo si manifesterebbe, sempre secondo il capo del Cremlino, da una parte, nell’affermarsi del multiculturalismo, dall’altra, nella incapacità di affrontare il problema delle migrazioni: “L’idea dei liberali presuppone che non ci sia niente da fare: i migranti possono uccidere, rapinare e violentare nell’impunità, dato che si devono proteggere i loro diritti come migranti”.

Ma è veramente così? E a quali liberali, o sedicenti tali, Putin si riferisce? Cerchiamo di mettere ordine in queste affermazioni, provando a capire se, da un punto di vista meramente logico o filosofico-politico, esse hanno un senso. Il primo elemento da considerare è che la crisi, in qualche modo, è connessa al liberalismo: in quanto dottrina incompiuta, mai definita e sempre da ridefinirsi in base alle concrete sfide della storia e dei tempi, ogni sua formulazione risolve dei problemi e altri ne apre. Oltre all’aspetto teorico, ce ne è pure uno storico. Anche in altri periodi si è parlato esplicitamente di “crisi”, e a volte anche di “fine del liberalismo”: ad esempio, fra le due guerre mondiali. In molti, soprattutto fra gli intellettuali, videro allora nel socialismo l’idea del futuro, anche per i Paesi occidentali. Come poi sia andata a finire lo sappiamo: con il 1989 è caduto il muro e, con il comunismo, il liberalismo è apparso ai più come l’unica ideologia rimasta sul campo. Francis Fukuyama si è spinto persino a parlare di “fine della stria”. In verità quella che si è affermata negli anni Novanta è stata una ideologia spoliticizzante, che si è illusa di superare il conflitto neutralizzandolo attraverso l’economia di mercato, da una parte, e il diritto eticizzato del “politicamente corretto”, dall’altra.

Ma liberisti e liberal sono il liberalismo come ci hanno voluto far credere, e come sembra crederlo anche Putin? Ora, è proprio il dispositivo liberal-liberista che è andato in crisi negli ultimi anni. Quelli che sono riapparsi sono i conflitti e, con essi, la volontà di agire nel mondo della forza, cioè nella politica, per far conquistare agli uomini sempre maggiori spazi di libertà. La critica di Putin coglie perciò nel segno, ma solo se si riferisce declinazione utopistica e metafisica del pensiero liberale. È ad essa che in fin dei conti Putin fa riferimento. E con lui, su questo specifico punto, anche un liberale vero può consentire.


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