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Chi vuole disarmare l’Arabia Saudita? La decisione Uk, l’Europa e l’Italia

Il governo britannico ha deciso di non dare il via libera a nuove vendite militari ai Paesi della coalizione a guida saudita impegnati nella guerra in Yemen, almeno fino a quando non riuscirà a ribaltare l’ultimo giudizio della Corte d’appello. La decisione dell’esecutivo arriva infatti dopo il verdetto dei giudici di Londra che, seguendo la richiesta dell’associazione pacifista Campaign Against Arms Trade, hanno giudicato illegittimo il procedimento utilizzato per l’export di materiali di difesa. Il governo, ha specificato in Parlamento il segretario per il Commercio estero Liam Fox, non condivide la decisione della Corte e per questo farà ricorso al terzo grado di giudizio.

LA SENTENZA

Secondo i giudici della Corte d’appello di Londra, “il processo decisionale da parte del governo ha avuto un errore di diritto in un aspetto significativo”. In particolare, la procedura utilizzata non avrebbe consentito una corretta valutazione dell’impatto degli armamenti venduti in termini di vittime civili nei bombardamenti indiscriminati durante la guerra in Yemen. Inoltre, ha detto il giudice Sir Terence Etherton spiegando la sentenza, il governo “non ha fatto alcuna valutazione conclusiva sul fatto che la coalizione guidata dai sauditi avesse commesso violazioni del diritto internazionale umanitario in passato, durante il conflitto dello Yemen”. In ogni caso, ha aggiunto, “la decisione odierna della corte non significa che le licenze all’export verso l’Arabia Saudita debbano essere sospese immediatamente”.

LA REPLICA DELL’ESECUTIVO

Il governo guidato da Theresa May ha però deciso per la via della sospensione preventiva, non sulle licenze già concesse, ma nei confronti dei nuovi procedimenti di autorizzazione. “Il giudizio – ha affermato poco dopo la sentenza un portavoce del dipartimento per il Commercio estero – non riguarda decisioni esportative giuste o sbagliare, ma piuttosto il processo con cui tali decisioni sono state prese”. Poi, alla Camera dei Comuni è arrivato il segretario competente, Liam Fox, confermando le indiscrezioni sull’eventuale ricorso al terzo grado di giudizio e presentando il disaccordo dell’esecutivo rispetto alla sentenza. “Il governo – ha spiegato ai parlamentari – ha adottato un processo multi-dimensionale rigoroso e robusto in linea con i criteri britannici e dell’Unione europea”. In fase di valutazione, ha aggiunto, ci sono “le implicazioni del giudizio per il processo decisione”. Mentre sono in corso, “non concederemo nuove licenze per le esportazioni verso Arabia Saudita e patner di coalizione che potrebbero essere utilizzati nel conflitto in Yemen”.

IL CASO TEDESCO

Il tema sta facendo discutere in diversi Stati europei, Italia compresa. Per prima è però arrivata la Germania: dopo un lungo confronto politico, il governo di Berlino ha deciso lo scorso ottobre, a seguito dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi (ma comprendendo tra le motivazioni anche il conflitto in Yemen), di sospendere la vendita di armi all’Arabia Saudita. Ciononostante, la scorsa settimana, il tabù tedesco è cascato, con la conferma da parte dell’esecutivo tedesco di esportazioni militari, nei primi sei mesi dell’anno, pari a 1,1 miliardi di euro a diversi Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen. La ragione? “Portare avanti progetti di difesa con i nostri partner più stretti”, evidentemente insoddisfatti della rigidità teutonica all’export di prodotti sviluppati congiuntamente. Di tale avviso è sicuramente la Francia, che ha sempre avuto un approccio più morbido alle vendite di materiali di difesa e che per questo non ha lesinato all’alleato teutonico critiche e attacchi, soprattutto in vista del “caccia europeo del futuro”.

UNA SOLUZIONE EUROPEA?

Da qui, la proposta lanciata su queste colonne dal vice presidente dell’Istituto affari internazionali Michele Nones: “Una decisione collettiva europea sulla sospensione, o limitazione, o riduzione dell’export verso questo Paese, ma a condizione che sia tutta l’Unione a prendere questa decisione”. D’altra parte, ha aggiunto, “se si tratta di azioni dei singoli, inevitabilmente queste esportazioni saranno effettuate da altri”, i quali andrebbero a prendersi fette importanti del mercato della difesa che cresce di più al mondo, quello del Golfo. In questo caso, notava ancora Nones, “noi paghiamo pesantemente la mancanza di volontà di costruire una politica estera europea comune”, mentre le super potenze (Usa, ma anche le ambiziose Cina e Russia) si spartiscono il mercato.

L’APPROCCIO UK

A Washington, esperti e addetti ai lavori ha già lanciato l’avvertimento: se non si rinnova l’azione verso questi Paesi, Pechino sarà felice di conquistare il mercato della Difesa del Medio Oriente. Una soluzione europea potrebbe comunque non comprendere l’uscente Regno Unito, che proprio per la Brexit ha invece rinnovato i suoi investimenti nel settore della Difesa, comprendenti anche una spinta più marcata al sostegno all’export nazionale. Ora, la sentenza della Corte d’appello difficilmente incrinerà i piani di Londra. Il terzo grado di giudizio potrebbe ribaltare la decisione e, in ogni caso, l’introduzione di criteri più rigidi difficilmente altererebbero l’export britannico. L’interesse è troppo alto: secondo i dati dell’autorevole Sipri, nel 2018, il 44% delle esportazioni militari del Regno Unito è andato all’Arabia Saudita. Per Riad, Londra è il secondo fornitore di armi dopo gli Stati Uniti. Percentuali molto più basse legano sauditi e tedeschi, con questi ultimi dunque decisamente meno coinvolti da un eventuale blocco.

IL DIBATTITO ITALIANO

Intanto, si riaccende il dibattito nel nostro Paese. Il dossier era già finito al centro di un botta e risposta tra le due forze di governo durante la campagna elettorale precedente al voto europeo. La nuova puntata potrebbe arrivare a breve a Montecitorio, con la discussione della mozione che chiede lo stop delle esportazioni degli armamenti verso l’Arabia Saudita. A rilanciarla una nota PD firmata da Lia Quartapelle, capogruppo in commissione Esteri alla Camera. Parallelamente, da Gianluca Ferrara, capogruppo M5S in commissione Esteri a palazzo Madama, è arrivata la nuova richiesta di chiarimenti alla Farnesina relativamente alle vendite italiane. Qualche settimana fa, una risposta era giunta dal deputato leghista Roberto Paolo Ferrari: “Cari amici pentastellati, un nostro atteggiamento rinunciatario nel mercato mondiale dei materiali d’armamento non assicura la pace, perché si può combattere anche con i machete che negli anni Novanta fecero mezzo milione di morti nella regione africana dei Grandi laghi”. Sul tema era intervenuto lo stesso Matteo Salvini: “Quanto al disarmo, non è utile, sarebbe un suicidio economico, e poi il settore difesa è strategico per i prossimi cinquant’anni. Un Paese disarmato è un Paese occupato e occupabile”.

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