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Il Trade off tra concorrenza e regolazione in Italia. Lo studio Casmef

In Italia, come in tutti i Paesi Europei, si è assistito negli ultimi anni ad un aumento della regolazione e, quindi, dei mercati regolati in cui lo Stato esercita un controllo continuo attraverso Agenzie pubbliche e in cui interviene – non più tanto per far fronte alla presenza di fallimenti di mercato, ovvero quando i mercati sono incapaci di raggiungere autonomamente un’allocazione delle risorse efficiente – ma in realtà per perseguire altri fini: numerosi e variegati obiettivi, alcuni dei quali emersi prepotentemente negli ultimi anni, come la tutela della salute dei consumatori, la salvaguardia dell’ambiente e la tutela del risparmio.

Se finalità diverse dalla tutela della concorrenza sono alla base dell’attività di regolazione dello Stato (soprattutto quando esercitata attraverso l’istituzione di Agenzie pubbliche dedicate, per quanto possibile svincolate dal potere politico), è possibile che sorga un potenziale conflitto di interessi e in questa fase in cui l’istituzione di Agenzie pubbliche si fa sempre più crescente (e con essa quindi la relativa regolazione), la domanda che necessariamente dobbiamo porci è se la regolamentazione – o gli assetti di mercato che da essa scaturiscono – deve considerarsi prioritaria rispetto alla promozione della concorrenza oppure sarebbe più opportuno contemperare gli obiettivi della regolazione alla tutela della concorrenza, che è e rimane un caposaldo dei sistemi economici occidentali e, in particolare, europei.

IL PROBLEMA ITALIANO: MAGGIORE REGOLAMENTAZIONE, MINORE CONCORRENZA E MINORE COMPETITIVITÀ

È evidente infatti che un’intensa regolazione dei mercati – spesso tradotta in incentivi e schemi impositivi o veri e propri ostacoli (“new protectionism”) – andando a discapito della concorrenza abbia forti e drammatici impatti negativi sulla competitività dell’intero Sistema Paese: il Global Competitiveness Report 2018 del WEF mette l’Italia al 31° posto nel livello di complessivo di concorrenza ma totalizza punteggi relativamente più bassi rispetto alla posizione raggiunta nella sezione dedicata ai mercati; scendiamo al 97° posto nella valutazione sugli effetti distorsivi di incentivi e tassazione, al 60° posto per il livello di competizione nel settore dei servizi e al 112° posto nella complessità delle tariffe (World Economic Forum). Inolte, un fattore determinante per la competitività non è solo l’intensità della regolamentazione ma anche la sua stabilità. In questo senso a contribuire a una percezione negativa del nostro Paese presso gli investitori sono anche le numerose previsioni di proroghe e deroghe a detrimento della chiarezza normativa.

In Italia sarebbe stata auspicabile quindi una maggiore intensità degli interventi a favore della concorrenza ma la legge del 2009 che imponeva una revisione annuale della legislazione in favore delle liberalizzazioni è rimasta lettera morta, almeno fino al 2017, quando la Legge sulla Concorrenza ha stabilito la necessità della valutazione ex ante (Vir) ed ex post (Air) delle norme con impatto economico da parte dell’Agcm. Tale impianto risponde esattamente all’esigenza di formalizzare la complementarietà tra la tutela della concorrenza e la regolazione, ma alcuni casi sembrano sollevare dubbi sulla direzione effettivamente intrapresa (es. Tpl, Poste, ordini delle professioni sanitarie, ecc.).
Anche in altri mercati fortemente regolati, recenti decisioni sembrano suggerire scarsa attenzione da parte delle Agenzie pubbliche verso il tema della concorrenza, con conseguenze rilevanti soprattutto in settori segnati da forte innovazione o di recente liberalizzazione.

ALCUNI ESEMPI

Nello specifico comparto dei servizi – spesso fortemente regolati e con elevate barriere all’entrata – l’attenzione del regolatore in generale e delle agenzie pubbliche in particolare dovrebbe essere rivolto a contemperare ogni altro obiettivo con la tutela della concorrenza, non relegandola mai ad un ruolo di secondo piano. Evidente è il caso della complessità e scarsa trasparenza delle tariffe imposte nel nostro Paese: più le tariffe sono complesse, poco trasparenti e soggette ad interventi discrezionali, più si alza il pericolo di comportamenti distorsivi della concorrenza da parte del legislatore fiscale.

Due settori che vedono concretamente l’evolvere del rischio qui citato – scarsa concorrenza e complessità delle tariffe – sono quello dei tabacchi e quello dei giochi.

Nel mercato dei tabacchi – fortemente regolamentato anche se a tutti gli effetti liberalizzato – nonostante si sia intrapresa la strada della riduzione progressiva della discrezionalità del Legislatore fiscale, con l’introduzione di meccanismi di adeguamento automatico dei parametri fiscali all’andamento del mercato e del relativo gettito per l’Erario , si sono mantenuti significativi margini di discrezionalità con un forte potere discrezionale su una delle tre componenti della tassazione che, di fatto, favorisce l’ulteriore consolidamento della posizione dell’operatore da sempre dominante nel comparto dei prodotti tradizionali (sigarette appunto) ed anche nel comparto dei prodotti innovativi (i cd. Prodotti di nuova generazione a rischio ridotto).

In quello dei giochi – mercato “giovane” in alcuni dei suoi comparti, in forte crescita nell’ultimo decennio a seguito del processo di liberalizzazione che lo ha interessato e segnato da una rapida evoluzione digitale che lo espone sempre più ad un processo di competizione internazionale – la regolamentazione rimane intensa, basata su un regime concessorio e frammentato in comparti che sono solo apparentemente contigui. La scarsa maturità del comparto e l’innovazione costante, unita alla peculiarità del regime concessorio, fanno emergere il potenziale conflitto di interessi tra la regolazione e la tutela della concorrenza. In assenza di studi che evidenzino la reale segmentazione del mercato del gioco, sarebbe opportuno un approccio molto più prudente in termini di tutela della concorrenza, atto ad evitare l’insorgere di posizioni dominanti o eventuali concentrazioni. Appaiono quindi peculiari alcune recenti scelte del legislatore nel comparto delle lotterie (uno dei più importanti del mercato) – prima suggerite e poi avvallate dall’agenzia pubblica preposta (Adm) – come il rinnovo della concessione del Gratta & Vinci senza l’emissione di nuovi bandi (e quindi senza alcuna gara), dove non solo si è affidato il servizio ad un solo operatore, ma lo si è poi rinnovato in automatico. Una decisione che sebbene formalmente corretta dal punto di vista della regolamentazione di settore, si rivela molto dubbia dal punto di vista sostanziale evidenziando la presunzione di prevalenza della regolamentazione sulla tutela della concorrenza. A questo proposito, va segnalato che nello stesso comparto la concessione delle Lotterie nazionali a totalizzatore numerico (il cd. SuperEnalotto) è invece stata messa invece a bando e l’esito della procedura influirà necessariamente sugli assetti competitivi del comparto Lotterie, già sufficientemente stressato dalle precedenti decisioni. È opportuno quindi concludere che l’insorgere di concentrazioni eccessive, anche solo in comparti specifici, come le lotterie, possono determinare l’insorgere di rischi sia per la crescita del mercato, sia anche per la tutela del consumatore. Al contrario, nei mercati regolati da concessioni, la pluralità di operatori assume un’importanza determinante per assicurare qualità e varietà dell’offerta.

CONCLUSIONI: UN APPROCCIO “MODERNO” ANCHE NEI MERCATI REGOLAMENTATI

La disciplina concorrenziale italiana è del tutto coerente con quella europea, ma in tema di mercati regolamentati sembra prevalere un approccio “tradizionale”: le Agenzie pubbliche dedicate alla supervisione dei mercati regolati mettono spesso la tutela della concorrenza in secondo piano rispetto agli altri loro obiettivi.

Maggiore attenzione ai temi concorrenziali da parte delle agenzie pubbliche – evitando di relegare tutto alle competenze “correttive” ex post dell’Agcm– consentirebbe guadagni in efficienza, riducendo inoltre il rischio di conflittualità istituzionale, fortemente nociva per lo sviluppo dei mercati.

Gli indicatori internazionali sul nostro (basso) livello di competitività globale altro non sono che la conseguenza di una scarsa concorrenzialità dei nostri mercati.

Un approccio moderno ed attuale alla disciplina della concorrenza, anche a fronte della necessaria regolazione richiesta da alcuni mercati, può solo generare maggiore crescita e sviluppo, favorendo il perseguimento di rilevanti obiettivi economico-sociali.

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