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Usa-Iran, il rischio escalation c’è. Parlano i generali Arpino, Bertolini e Tricarico

Mille uomini cambiano poco a livello operativo, ma lanciano un segnale importante a Teheran, agli alleati nella regione e ai Paesi europei, che intanto scontano la mancanza di una visione comune. E l’appoggio italiano alla linea americana, spiegato a Washington da Matteo Salvini? Una mossa utile ad avere la benevolenza statunitense per continuare a intrattenere rapporti commerciali con l’Iran, in deroga al sistema Usa. È il punto dei generali Mario Arpino, Marco Bertolini e Leonardo Tricarico, che Formiche.net ha sentito per capire gli effetti dell’annuncio arrivato dal Pentagono: l’invio, “a scopo difensivo”, di altri mille soldati in Medio Oriente. Ad accelerare i piani della Difesa americana, più degli attacchi della scorsa settimana alle petroliere nel golfo dell’Oman (per cui Washington attribuisce a Teheran tutte le colpe), è stata la conferma iraniana ieri: entro dieci giorni, il Paese supererà il limite delle riserve di uranio a basso arricchimento consentito dall’accordo sul nucleare del 2015.

IL LIVELLO OPERATIVO

Già il 24 maggio, il presidente Donald Trump aveva inviato 1.500 uomini di rinforzo nella regione. Ora, il nuovo dispiegamento. A livello operativo cambia poco. “Altri mille soldati non sono nulla né ai fini di una predisposizione operativa strutturata, né tanto meno ai fini di un ribaltamento di equilibri militari, sopratutto se la controparte è paese come l’Iran”, ha spiegato il generale Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica. È d’accordo il generale Bertolini, ex comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e della Folgore: “Mille uomini non sono tanti, o almeno non abbastanza da risolvere un problema militare come un Paese come Iran”.

I SEGNALI

Per questo, la mossa del Pentagono è da leggere più che altro nell’ottica della massima pressione al regime di Teheran. Si tratta, ha aggiunto Bertolini, “di un segnale minaccioso nei confronti di Teheran, di un segnale di attenzione nei confronti degli alleati americani nell’area (Israele su tutti), e di un segnale nei confronti degli altri Paesi che osservano l’evoluzione dello scenario”. Difatti, ha ricordato il generale, “fino a poco fa si parlava di ritiro delle forze americane dalla Siria, ma questo non è mai iniziato e anzi ora si discute del ritorno di forze dell’area”. Circa il loro dispiegamento, “potranno andare essenzialmente in Giordania, sempre a due passi dalla Siria, oppure negli Emirati”. In ogni caso, ha rimarcato Bertolini, il messaggio è chiaro: “Gli americani ci stanno dicendo che sono ancora intenzionati a rimanere nell’area, almeno fino a quando i loro interessi non saranno assicurati”.

IL RISCHIO ESCALATION

C’è però il rischio escalation. L’invio di altri mille militari, ha notato Tricarico, “nell’intenzione vorrebbe probabilmente essere un segnale dissuasivo; ma si presenta invece come provocatorio, e potrebbe portare ad un aumento della tensione e a una escalation”. D’altra parte, ha aggiunto Bertolini, “l’area comprende due Paesi come Iraq e Siria, l’uno reduce da una situazione più che complessa, l’altro ancora teatro di una guerra importante”. Un’escalation ci sarà, ha rimarcato l’ex comandante della Folgore, “ma per ora non è dato sapere se sarà militare o di carattere politico -economico”. La seconda ipotesi “resta comunque pericolosa, poiché potrebbe evolversi nella prima”.

LA LINEA DI SALVINI

In tal senso, ha spiegato Bertolini, “l’invio di nuove forze potrebbe preludere a un irrigidimento del regime americano di blocco e di sanzioni nei confronti dell’Iran, al quale saremmo chiamati a contribuire anche noi, e ciò risulta in parte confermato dalle affermazioni di Salvini negli Stati Uniti, dopo la visita con Pompeo e i commenti critici nei confronti dell’Iran”. Una linea giusta, secondo il generale Tricarico, ma da tenere “con prudenza e cautela oggi più di ieri”. Il presidente Trump, ha affermato il presidente della Fondazione Icsa, “ci ha abituato a giri di valzer che potrebbero spiazzarci ad ogni momento è farci trovare in difficoltà o al minimo perdere la faccia”. D’altra parte, ha aggiunto, “dobbiamo assicurarci la benevolenza statunitense per continuare a intrattenere rapporti commerciali con Teheran autorizzati dagli Usa in deroga”. Si tratta di dare “un colpo al cerchio e uno alla botte, comunque con l’occhio sempre attento agli interessi nazionali”.

LA LATITANZA EUROPEA

Un occhio attento necessario anche a fronte della latitanza di una linea comune europea. “L’Europa manca sempre – ha ricordato il generale Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica – lo abbiamo visto su Maduro, sugli accordi con la Russia per il petrolio e sul problema di Cipro con la Turchia”. L’Europa, ha chiosato, “non esiste in politica estera, a prescindere dalla nostra Federica Mogherini che ha fatto sempre un buon lavoro”. Una visione su cui concorda il generale Bertolini: “I Paesi europei si muovono in ordine sparso, e sull’Iran è ancora più evidente”. Basti notare, ha aggiunto, “la quantità di macchine francesi nel Paese nonostante esso sia stato oggetto di molte attenzioni negative da parte di Parigi; c’erano diversi Stati europei che intrattenevano legami abbastanza forti con Teheran anche quando c’era un regime di embargo stretto”.

LA MOSSA DI TRUMP PER I FALCHI REPUBBLICANI…

A prescindere dalla latitanza europea, nelle intenzioni del presidente Trump ci potrebbero essere comunque altri obiettivi. “Sono dell’opinione – ci ha detto il generale Arpino – che l’annuncio di altri mille uomini sia un’uscita rivolta più all’interno che all’estero; non credo che l’inquilino della Casa Bianca abbia alcuna voglia di fare una guerra che sarebbe particolarmente sanguinosa in un periodo elettorale”. Eppure, “si trova nella situazione di dover assumere una linea dura rispetto a Teheran, linea di cui è fautore il Congresso, non lui; l’obiettivo mi pare quello di tener buoni i repubblicani, destreggiandosi con l’Iran come un industriale alle prese con una trattativa in cui vuole farsi vedere rigido e non disposto a trattare”. Anche sulla questione delle petroliere, ha notato Arpino, “può darsi che abbia informazioni precise sulla responsabilità iraniana, ma credo che, rispetto a Bolton e Pompeo, sia più incline a pensare che dietro ci sia un trucco di Cina, Russia o Corea del Nord per sfruttare il momento”. In tal senso, “ritengo che si debba considerare, oltre ai fini elettorali e di politica interna, anche l’obiettivo di Trump di utilizzare la questione iraniana per contrastare l’avvicinamento di Cina e Russia, fenomeno che sarebbe di grossa complicazione e che eppure sembrerebbe essere in atto”.

…E QUELLA DI ROUHANI

Ma come spiegare invece l’annuncio dell’Iran di superare, in dieci giorni, i limiti dell’accordo del 2015? “Il regime – ci ha detto Arpino – potrebbe avere una posizione simile a quella di Trump; Hassan Rouhani ha infatti lo stesso problema all’interno, non con i repubblicani ma con i pasdaràn”. C’è nel Paese “una parte consistente dell’opinione pubblica che spinge per la linea dura”. In più, Teheran potrebbe avere anche l’obiettivo di “esercitare pressione sull’Unione europea, che da tempo traccheggia senza sapere come destreggiarsi; ideologicamente i Paesi del Vecchio continente vorrebbero restare con gli Usa, ma nei propri interessi cercano di evitare una posizione rigida e l’uscita dall’accordo”. Così, ha detto Arpino concludendo, “Rouhani cerca di premere l’Ue affinché non volti pagina”.

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