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Basta incertezze sulle grandi navi a Venezia. L’invito di Baretta al governo

L’incidente avvenuto domenica 2 giugno, nella laguna di Venezia – che ha visto, per fortuna senza vittime, una nave crociere della Msc perdere il controllo, investire un’affollata imbarcazione turistica e sbattere contro la banchina di cemento armato del molo di san Basilio, danneggiandolo – ha riacceso i riflettori sul fenomeno delle “grandi navi” da crociera che, entrando dalla bocca di porto del Lido, transitano per il bacino di san Marco e il canale della Giudecca, per raggiungere il terminal passeggeri situato dalla parte opposta della città. È un tragitto affascinante che consente ai turisti di ammirare dai ponti delle navi l’incommensurabile bellezza del panorama di piazza San Marco, della Basilica sullo sfondo, del palazzo Ducale e dell’intero bacino acqueo. È questo passaggio davanti alla Storia e alla grandiosa architettura che la rappresenta, una delle principali attrattive di queste crociere che partono e arrivano a Venezia. Non solo. Tale, affascinante passaggio è stato, per molto tempo, uno dei motivi di resistenza, da parte degli armatori e delle compagnie turistiche, a modificare il tragitto delle navi.

Da ormai molti anni, l’aumentata dimensione del naviglio ha reso evidente a tutti la sproporzione tra questo lusso turistico e i problemi di sicurezza e inquinamento che ne derivano. Si è, così, formata nell’opinione pubblica internazionale, prima, e in quella veneziana, dopo, l’idea che non si poteva più consentire il transito delle grandi navi nel delicato tratto del bacino di San Marco e del canale della Giudecca. Durante il governo Monti, questa decisione fu formalizzata, ma non applicata in attesa della soluzione alternativa.

Ma, come spesso succede nel nostro Paese, e a Venezia in particolare, sulla soluzione da adottare si è avviata una discussione serrata e conflittuale: tra i politici, tra i tecnici, tra le varie associazioni di interessi e, ovviamente, tra i cittadini di Venezia e, tramite la risonanza mediatica data al tema, nel villaggio globale di mcLuhniana memoria. L’unicità di Venezia è, infatti, inesorabilmente “patrimonio dell’umanità”, per cui è naturale che alle sue sorti se ne interessino ovunque, anche se, spesso, questo interessamento è più emotivo che razionale e raggiunge particolari picchi quando ci sono incidenti, come fu per la morte del turista tedesco schiacciato nell’impatto tra la gondola, nella quale viaggiava, e un vaporetto.

Dentro questo contesto, la discussione su dove spostare le navi si è orientata su due grandi linee: mantenere le navi da crociera dentro la laguna, facendole transitare dalla bocca di porto di Malamocco, situata alcuni chilometri più a ovest (la stessa dalla quale entrano le navi commerciali dirette a Porto Marghera, attraverso un canale scavato negli anni 60, il canale dei petroli) e da qui o fermarsi a Marghera, costruendo un terminal nuovo, o proseguire per Venezia attraverso lo scavo di un canale già esistente (il Vittorio Emmanuele), ma con un fondale attualmente inadeguato, e raggiungere, arrivandovi da dietro, l’attuale scalo della Marittima. L’altra ipotesi prevede che le navi non entrino in laguna, ma si fermino all’ingresso della bocca di porto del Lido (da dove entrano ora), costruendo lì un terminal dove oggi ci sono i cantieri per l’istallazione del Mose.

Insomma: dentro o fuori la laguna? Nel primo caso si agisce sull’equilibrio tra salvaguardia ambientale e business, pur mantenendo “dentro” l’area urbana, ma non nella città storica, bensì nel suo porto, il traffico marittimo; nel secondo, si privilegia la salvaguardia ambientale, senza rinunciare al business, che sconterebbe, però, uno spostamento “in prossimità” dell’area urbana. Non si tratta di una differenza solo nominalistica o di poco conto. La grande questione storica di Venezia è sempre stata: salvaguardia o sviluppo? È un conflitto connaturato alla natura stessa della città e continua da decenni, anzi da secoli. Già la Repubblica veneta attribuiva all’equilibrio idrogeologico una particolarissima rilevanza, tanto da istituire una magistratura ad hoc (il magistrato alle acque), sopravvissuta fino alla ultima riforma dei porti del governo Renzi che, sbagliando, l’ha abolita, riassorbendola nella ordinaria gestione ministeriale. Ma, proprio la Repubblica Veneta, che considerava l’alterazione di quell’equilibrio alla stregua di un attentato alla sicurezza dello Stato, condannandolo con la pena di morte, non rinunciò allo sviluppo dell’economia della città e trovò soluzioni coraggiose. Basti ricordare la costruzione, al Lido, di una grande diga a mare (i murazzi) per evitare l’invasione della città da parte dell’Adriatico o la deviazione del corso di fiumi (Brenta e Piave), per evitare l’insabbiamento della laguna e consentire la navigazione. Più di recente, dopo la drammatica alluvione del novembre del 1966, quando Venezia fu sommersa dall’acqua alta (l’acqua “granda”) un movimento collettivo portò, forse per l’unica volta, a una straordinaria unità di intenti che in breve produsse la “legge speciale per Venezia”.

Nella discussione attuale, su come gestire le grandi navi la divisione continua e quanto è successo lo scorso 2 giugno rende evidente le responsabilità collettive del non decidere. L’incidente svela la possibilità che accada quanto veniva escluso. Se la perdita di controllo della nave fosse avvenuta poche centinaia di metri prima e cioè davanti a san Marco, dove la riva non è rinforzata o nella rotta deviata ci fosse stato un vaporetto in transito carico di passeggeri, le vittime e i danni sarebbero stati ben altri. Dunque, non si può più continuare così!

Non nascondo, in questo contesto, di avere le mie idee su quale dovrebbe essere la strada da intraprendere, ma da tempo sostengo che tutti dobbiamo anteporre alle nostre convinzioni l’urgenza di decidere. Tant’è che negli anni nei quali sono stato al governo mi sono battuto per far convocare il Comitato interministeriale preposto a decidere (il cosiddetto “Comitatone”), che finalmente si riunì nel novembre del 2017 e scelse la soluzione Marghera con proseguimento provvisorio alla Marittima e lo scavo del canale Vittorio Emanuele. Personalmente preferisco la soluzione Marghera definitiva (il tempo trascorso tra la formulazione di questa proposta ed oggi è tale che saremmo già a buon punto nella realizzazione della nuova area portuale passeggeri), affidando alla stazione Marittima attuale (che è stata, negli anni, oggetto di importanti investimenti che devono continuare a essere valorizzati) un nuovo ruolo, con il duplice compito di porto turistico per imbarcazioni private di un certo rilievo e traffico di medie dimensioni, nonché di un’importante area convegnistico-culturale, di intesa con la Biennale e le altre istituzioni veneziane.

Ma, come ho detto, ciò che conta è decidere. Il ministro Toninelli ha, invece, aperto un nuovo fronte di conflitto, anche con le istituzioni veneziane, Comune e Regione, mettendo in discussione la decisione presa dal Comitatone, perdendo, così, ulteriore tempo e producendo un ulteriore, vergognoso stallo.

Nel frattempo, altri porti dell’Adriatico, sono interessati ad attrarre questo importante settore turistico. Dalla vicina Chioggia, che può concorrere fino a una certa stazza; a Trieste, che ha fondali e attrezzature adeguate, a Ravenna o Ancona. Ovviamente, pur essendo tutte straordinarie città, nessuna ha l’impatto che offre Venezia.
Ma quanto potrà reggere il vantaggio competitivo di Venezia di fronte alle contrapposte pressioni dei movimenti contrari al traffico delle grandi navi (che proprio ieri sono scesi in piazza con una partecipata manifestazione), alle esigenze economiche degli armatori, agli stessi passeggeri che, in fin dei conti, è la crociera che vogliono?

Un ulteriore rinvio della decisione comprometterebbe non questa o quella soluzione, ma la permanenza a Venezia delle grandi navi. Dopo domenica, infatti, c’è un salto di qualità emotivo del tutto comprensibile nell’opinione pubblica. Tant’è che se fino a oggi si confrontavano le due concezioni: “fuori dal bacino di San Marco” o “fuori dalla laguna”, nei titoli e nelle cronache dei media mondiali di questi giorni prevale di gran lunga quest’ultima affermazione, ma irrobustita da un più radicale: “via le grandi navi da Venezia”. Dove, l’esito sarebbe, né Marghera né il Lido, ma … altrove! A questo proposito, va riconosciuto che i due progetti in campo (Marghera/Marittima o Lido), pur alternativi e inconciliabili tra loro, hanno in comune l’idea che le navi da crociera continuino ad approdare a Venezia come porto di partenza e di termine delle crociere.

Il governo, dunque, si assuma le proprie responsabilità: convochi con urgenza il Comitatone e, come sarebbe giusto, confermi, in maniera chiara e ultimativa, la decisione già presa nel 2017. Se è un’altra la strada da intraprendere il governo lo dica. Ma basta incertezze, basta rinvii. E, se dovesse servire, si emani, intanto, il decreto che blocca il passaggio davanti a san Marco. Forse solo una decisione drastica, liberatoria da un lato e pesante sul piano economico dall’altro potrà consentire a tutti di rinsavire e prendere una decisione che tutti da troppo tempo aspettano.


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