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Così i Big Data stanno cambiando il mondo

Di Alessandro Fonti

Edito lo scorso maggio da il Mulino, il libro di Marco Delmastro e Antonio Nicita “Big Data. Come stanno cambiando il nostro mondo” si focalizza su un punto di vista interessante per chi si voglia cimentare nel cercare di capire come la tecnologia sta cambiando la nostra vita.

I temi affrontati dagli autori sono diversi, ma discendono tutti da un’unica considerazione di base, ovvero dalla difficoltà di percepire il valore che i propri dati hanno sul mercato. Non soltanto da un punto di vista economico, ma anche strategico e politico.

Le app gratuite scaricate sui cellulari sono tali poiché noi tutti accettiamo di condividere aspetti della nostra persona e della nostra vita, sottovalutando spesso quello a cui stiamo andando incontro. Infatti, la maggioranza di noi, ricordano Delmastro e Nicita, sarebbe contraria a comunicare informazioni di sé stesso per profilazioni commerciali e pensa quindi che quando li comunica alle app non li ceda, ma ne limiti l’utilizzo.

Parimenti, il caso di Cambridge Analytica, che gli studiosi citano, testimonia come alcuni eventi politici, come il voto sulla Brexit o negli Stati Uniti, siano stati oggetto di campagne di influenza condotte sui social media: notizie non vere sui news feed avevano bombardato milioni di cittadini profilati politicamente. Si aggiunga poi che queste stesse notizie possono apparire solo per un utente specifico e poi scomparire per sempre, così da non dare la possibilità a studiosi, ricercatori, politici di analizzare puntualmente cosa accade sulla rete.

Delmastro e Nicita vanno oltre e lasciano intuire come l’intelligenza artificiale non sia più un tema da film di fantascienza, ma ormai parte della nostra vita. Basti pensare, raccontano, che Amazon ha registrato nel 2013 un brevetto dal nome “Metodi e sistemi di invio anticipati di pacchi”, per predisporre l’invio di un pacco prima che il cliente lo abbia ordinato.
Gli algoritmi sono quindi già talmente evoluti che permettono all’utente non solo di risparmiare il tempo per cercare qualcosa di cui si ha bisogno, ma di risparmiare il tempo per sapere cosa cercare, e forse, tra non molto, di persino di accettare senza batter ciglio quanto l’algoritmo gli invierà a casa.

La domanda allora è la seguente: che cosa fare per sfruttare le enormi potenzialità di internet e di Big data senza esserne travolti? La risposta che arriva dagli autori non è univoca e coinvolge la politica, che deve intervenire sulla regolamentazione, i maggiori player, che devono essere esortati ad orientare in modo più socialmente accettabile il tema della profilazione dei dati, ancora la politica, che deve intervenire sull’educazione dell’utenza, differenziando l’approccio per classi di età: dati empirici dimostrerebbero infatti, scrivono, che “gli over 65 condividerebbero sette volte di più, su Facebook, notizie false rispetto ai gruppi di età inferiore”.

Si è detto conoscere, approfondire, regolamentare, coinvolgere, educare. Ma è necessario soprattutto capire che cosa è accettabile per la nostra società e che cosa non lo è. Rimettere quindi al centro il tema dell’etica, applicato a Big Data.

Alessandro Fonti


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