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Braccio di ferro tra ong e governo italiano. Unica soluzione? Il rispetto delle norme internazionali

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(Foto tratta da ANSA)

di Giuseppe Paccione

Mai è accaduto, all’inizio del terzo millennio, che l’Italia si spaccasse in guelfi e ghibellini sulla vicenda inerente la nave ONG Sea Watch 3, sicuramente anche su altre navi ONG, in cui ognuno vuole avere ragione senza ascoltarsi e confrontarsi. Accade che d’improvviso tutti si sentivano esperti e pronti nel dare delle soluzioni in merito al duro braccio di ferro tra le autorità di governo e il comandante della nave ONG Sea Watch3 e la questione di far sbarcare i 42 migranti a bordo dell’imbarcazione dell’organizzazione non governativa battente bandiera dei Paesi Bassi, la cui disputa è ancora aperta. La questione, però, è che le soluzioni che si vogliono offrire sono talmente lacunose e scadenti, tanto da non rendersi conto che tale vicenda va affrontata solo da esperti delle materie giuridiche internazionali e interne e credo anche da soggetti che hanno l’arte della diplomazia.

Il tema, di grande delicatezza sul piano giuridico, va curato con strumenti chirurgici adatti a dover trovare una soluzione di questo vergognoso e assurdo braccio di ferro fra il Ministro degli Interni Matteo Salvini e il comandante della Sea Wtch3 Carola Rackete, cittadina tedesca, ma anche con le altre imbarcazioni ONG, pronte a sfidare il Vice Premier e il responsabile del Viminale.  Salvini insisteva (per) e transigeva il rispetto del decreto sicurezza bis e l’inibizione d’ingresso per la nave ONG, da un lato, mentre il comandante della nave colpevole, dall’altro, riteneva di essere in diritto di portare i migranti salvati in mare in un porto o luogo sicuro (place of safety), in base alle regole internazionali del mare.

Partendo dal decreto-legge del 14 giugno 2019 recante disposizioni urgenti in materia di ordine pubblico, si tratta di un provvedimento che – a parere dello scrivente – suscita delle perplessità e taluni problemi che non è possibile approfondire in questa sede. Tuttavia, tra i vari dubbi sorge la questione della legittimità delle misure da prendere nei riguardi di imbarcazioni che vogliano fare ingresso nelle acque territoriali dello Stato italiano. La lettura attenta del testo decreto sicurezza bis, ictu oculi, ci sposta su due disposizioni che sanciscono il potere del Ministro degli Interni di poter limitare o inibire l’ingresso, il passaggio o transito, come pure la sosta di navi nel mare territoriale, e le sanzioni economiche nei riguardi degli operatori – in particolar modo del comandante.

Il primo punto ha come aspetto il divieto d’entrata nel mare territoriale di uno Stato, che, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare (c.d. Convenzione di Montego Bay o CNUDM), designa lo spazio marittimo compreso tra il territorio e le acque interne e spazio su cui esercita la sovranità dello Stato rivierasco, che si estende sino alle 12 miglia marine, circoscritta però dal diritto di passaggio inoffensivo in base al quale le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale, per cui non è possibile ostacolare il transito di imbarcazioni che esercitano tale diritto, mentre è possibile l’adozione da parte dello Stato costiero di misure necessarie per impedire nel proprio mare territoriale ogni transito che non sia inoffensivo, punto che si vedrà avanti.

Credo che sia necessario, a questo punto, ponderare due considerazioni, c’est à dire quale definizione evidenziare circa l’espressione passaggio inoffensivo e la sua applicazione per, successivamente, comprendere in quali momenti il transito di una nave viene ad essere meno tutelato, autorizzando lo Stato rivierasco a porre in atto determinate misure nei riguardi dell’imbarcazione ossia in quali casi esso può mettere in moto delle misure nei riguardi di navi che si trovino sotto l’ombrello dell’Istituto  di diritto di transito inoffensivo.

È ormai assodato e accettato dagli Stati che con il termine passaggio s’intende sia la navigazione nel mare territoriale attraversandolo senza toccare le acque interne dello Stato costiero sia il fatto di navigare nel mare stesso per raggiungere il mare interno e il mare libero. Mentre con l’espressione inoffensivo si indica il non utilizzo del lembo territoriale marino di uno Stato costiero per compiere un atto che attenti alla sicurezza, all’ordine pubblico, nel senso che non debba il transito di qualsiasi nave recare pregiudizio alla pace, alla sicurezza e all’ordine pubblico dello Stato costiero.  Persino la stessa Corte di Cassazione ha sottolineato che tale passaggio inoffensivo è ritenuto tale nel momento in cui non è atto a pregiudicare la pace, il buon ordine o la sicurezza dello Stato rivierasco, nel senso che tale inoffensività non concerne unicamente la sicurezza del territorio, ma pure il rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato costiero nel suo complesso (Cass. Pen. 28 ottobre 1953, in Giur. Compl. Cass. Pen. III/1953, p.564).

Per quanto riguarda i bastimenti delle ONG, che effettuano operazioni di ricerca e salvataggio in mare, uno Stato costiero può ancorarsi su due linee dispositive. La prima è quella del paragrafo 2, lettera g, dell’articolo 19 della CNUDM, in base al quale si suppone che il transito non sia inoffensivo quando implica il carico di persone contrarie alle norme sull’immigrazione dello Stato costiero. Di certo, l’espressione contenuta nella lettera gcaricamento in corso di persone – non è equivalente all’espressione soccorso di individui. Di regola, un soccorso comporta il dovere di far salire a bordo le persone, ciò è d’uopo per trarre in salvo vite umane in distress, ma non costituisce un atto deliberato per aggirare le norme di diritto dell’immigrazione. Quindi, è ben chiaro che ogni Stato è vincolato a soccorrere i migranti clandestini, come ogni altro essere umano che si trovi in tale situazione, vincolo che, discendendo da antiche consuetudini marinare, è oggi sancito dalla CNUDM, non solo, ma tale obbligo di soccorrere le persone in pericolo in mare è anche una diretta conseguenza del diritto umano alla vita, che è garantito in una serie di Trattati relativi ai diritti umani. Interpretato, dunque, in buona fede e in base al significato ordinario da dare ai termini del trattato, come d’altronde prevede la norma generale unitaria dell’interpretazione del trattato, la c.d. règle générale d’interprétation – ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati –, dove vige il principio fondamentale della buona fede, nel senso che l’interpretazione dei trattati è governata dal principio di etica internazionale, pertanto i trattati stessi devono essere interpretati bona fide, su cui si fonda il principio pacta sunt servanda, per cui gli Stati costieri non possono fare affidamento all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g per negare alle navi estere di condurre operazioni di ricerca e soccorso nell’ambito delle acque territoriali. Tale articolo, in ogni modo, concerne solo le norme attinenti alle questioni di carattere migratorio e può, dunque, essere reclamato solo per affrontare il carico di individui che tentano di fare ingresso nello Stato costiero, ma non coloro che cercano di andarsene.

La seconda disposizione è la lettera l dell’articolo di cui si sta trattando, sempre della CNUDM, che consente a ogni Stato costiero di qualificare ogni altra attività  che non sia in rapporto diretto con il passaggio come non  innocente e porre il diniego del transito mercé il suo mare territoriale su tale fondamento. Un paio di concrete ragioni può essere evidenziato nell’attuale contesto. La prima, parallelamente all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g della Convenzione di Montego Bay, si concretizza sulla ragione  che uno Stato costiero può sostenere che il passaggio di una nave non è innocente quando carica persone contrarie all’emigrazione dello Stato costiero, contrariamente alle norme che riguardano l’immigrazione. La seconda si fonda sul fatto che gli Stati costieri, parti al Protocollo addizionale del 2000, per combattere il traffico di migranti via mare e via aria, sono vincolati a prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare come luogo di partenza, ai sensi dell’articolo 7 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, in base al quale «gli Stati parti cooperano nella maniera più ampia per prevenire e reprimere il traffico di migranti via mare, ai sensi del diritto internazionale del mare». Sulla base di tale vincolo, uno Stato costiero può cercare di asserire che ha il permesso di impedire alle persone di lasciare irregolarmente le proprie rive e di inibire alle nave di imbarcale dal loro mare territoriale.

Tuttavia, per farla breve, nel caso in cui una nave carica o carica individui che va contra legem cioè contro le disposizioni sull’immigrazione dello Stato costiero, il passaggio potrebbe ritenersi offensivo e lo stesso Stato rivierasco può attivarsi per far rispettare la propria legge. Ma, l’ingresso di una nave che ha a bordo persone soccorse in mare, che si è attenuta al vincolo imposto dalle norme internazionali di salvare la vita umana in mare non rientra nel quadro di attività compiute in contrasto con le disposizioni interne che concerne l’immigrazione, a patto che il fine della nave sia quello di far sbarcare gli individui soccorsi. Qui, ci si trova difronte all’obbligo di prestare soccorso ossia il vincolo di intervenire su quanti si trovino in pericolo da parte degli Stati, come è enunciato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare, che deve essere accompagnato dal principio di solidarietà marinara; stessa regola vale anche per i comandanti delle navi che sono in dovere di salvare le persone in pericolo di vita in mare, come enunciato nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, nel senso che il comandante di una nave, che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, deve procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione; anche a livello interno, in base al nostro codice di navigazione, si delinea l’obbligo del comandante di assistere in mare o in acque interne, il suo equipaggio e i suoi passeggeri. Inoltre, non va non tenuto in considerazione, come previsto dalle linee-guida dell’Organizzazione Internazionale marittima, che gli Stati costieri hanno pure il dovere di adottare misure finalizzate a sollevare la nave da ogni responsabilità, nel più breve tempo possibile, per evitare indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà derivanti dall’aver assistito le persone soccorse in mare.

Vincolo imposto a qualsiasi comandante di una qualsiasi imbarcazione di assistere gli individui che sono nella morsa del pericolo di vita in mare, cioè a dire che la fattispecie del salvataggio prosegue sino al momento in cui il comandante stesso non abbia proceduto allo sbarco di persone in un reale e concreto luogo sicuro, senza precludere la sua entrate nel mare territoriale e nel porto di uno Stato rivierasco. Non è possibile inibire il passaggio inoffensivo ad un’imbarcazione, a prescindere la sua stazza, che ha avuto solo il compito di soccorrere degli individui in distress, pure oltre il mare interno, posto che questa sia propensa a fare il suo ingresso per completare e perfezionare quel vincolo di salvataggio di vite umane in mare.

Altra fattispecie fondamentale riguarda la limitazione di godimento del transito inoffensivo che lo Stato rivierasco può circoscrivere, rischiando di scontrarsi con quanto determina la stessa CNUDM cioè a dire che non è possibile impedire tale passaggio mercé il mare territoriale nel senso che lo Stato costiero non deve imporre alle navi straniere vincoli che abbiano come effetto quello di impedire o limitare il diritto di passaggio inoffensivo. Ma, in determinati casi, lo Stato rivierasco ha il diritto di sospendere tale transito temporaneamente di navi estere in aree specifiche del proprio mare territoriale quando tale sospensione sia necessaria per la protezione della propria sicurezza e che non deve avere contorni discriminatori.

Questo braccio di ferro tra le ONG e l’attuale governo in carica non può durare e che non può essere visto solo dall’angolatura di carattere politico e/o ideologico, è sufficiente la lettura e l’applicazione delle regole internazionali ( e aggiungerei anche delle nostre norme costituzionali) e la piena cooperazione fra gli Stati membri dell’UE e le ONG.

Giuseppe Paccione

 

 

 


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