Come trasformare la crisi in opportunità
I dati appena resi pubblici dal Miur per il nuovo anno scolastico 2019/2020 confermano il forte calo di iscrizioni, l’aumento del tempo pieno (siamo al 42% delle domande della primaria) e l’aumento della scelta dei licei (54,6% degli studenti, con tanto di ripresa del classico), con l’aumento delle richieste per i licei a 4 anni.
1. Gli effetti del calo demografico. Al prossimo anno scolastico si sono iscritti 69.256 studentesse e studenti in meno, con un calo dello 0,9%. Stando ai dati Miur si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo complessivo del 2,4%”. Se andiamo a vedere i dati regionali, il calo è più evidente al Sud e un po’ minore al Nord. Con una regione virtuosa, l’Emilia Romagna “che a settembre porterà 1.484 alunne e alunni in più nelle aule” e un fanalino di coda rappresentato dalla Basilicata “dove da settembre entreranno nelle aule 1742 studentesse e studenti in meno”.
Il calo in atto toglierà quasi 2.770 classi rispetto all’attuale anno scolastico. Il fenomeno ha una lunga gestazione: risale al 1985 il primo convegno di studi del Ministero dell’Istruzione sugli effetti del calo della natalità sulla popolazione scolastica. Ma il rapporto della Fondazione Agnelli dell’aprile 2018 “Scuola. Orizzonte 2028. Evoluzione della popolazione scolastica in Italia e implicazioni per le politiche” documenta che dalla popolazione 2018 in età scolare (3-18 anni) di circa 9 milioni passerà fra 10 anni, nel 2028, a 8 milioni: “un trend che non appartiene a nessun altro paese europeo”.
Sempre secondo lo studio, basato su fonti Istat, nei dieci anni la scuola primaria perderà circa 18.000 classi, la scuola media (11-13 anni) perderà 9.400 classi, la scuola superiore avrà una perdita di circa 3.000 classi. Unica eccezione alle superiori nel decennio saranno Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio che nello stesso periodo alle superiori manterranno un saldo ancora positivo.
Sempre nel periodo oggetto di studio, per gli organici degli insegnanti statali la contrazione potrebbe essere di oltre 55.000, cominciando della primaria, con conseguenze prevedibili sul rinnovamento del corpo docente e con un risparmio per il bilancio dell’istruzione di quasi 2 miliardi di euro all’anno.
Quali interventi prevedere ? Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ricordava alcune ipotesi: aumentare il numero medio di insegnanti per classe (lo si fece nel 1990 col modulo didattico alle scuole elementari), oppure ridurre il numero medio di studenti per classe, come ha fatto in Francia la «riforma Macron» a cominciare dalle aree più problematiche.
Resta il fatto che questi sarebbero interventi sugli effetti e non sulla causa, che, risalendo al calo demografico, esige interventi di politiche fiscali e sociali: una moderna politica a sostegno delle famiglia; servizi di qualità per l’infanzia; politiche dell’immigrazione che attraggano con equilibrio e sostengano la formazione e l’integrazione. Esattamente tutto l’opposto di quanto si sta facendo in questi anni.
2. Le iscrizioni alle scuole superiori. Per le scuole superiori restano le conferme degli scorsi anni: a fronte del cosante aumento, rispetto al 2018, di iscritti ai licei (+0,7%) resta irrisorio quello agli istituti tecnici (+0,1%) mentre è costante il calo negli istituti professionali (-0,8%). Nei licei l’aumento riguarda il classico, il linguistico, le scienze applicate e l’opzione economico sociale delle scienze umane. Negli istituti professionali il calo tocca anche i corsi di IeFP (Istruzione e Formazione Professionale con -0,9%).
Le scuole superiori paritarie attirano maggiormente per il liceo classico, il linguistico e lo scientifico, mentre restano molto distanti dalla scuola statale per l’istruzione tecnica e professionale, dove, all’interno dei propri iscritti alle prime classi (10.873 su 542.654 totali nazionali) raccolgono percentuali che non superano la metà delle percentuali presenti nelle statali. Pressoché assenti retano invece le paritarie nei percorsi IeFP all’interno dell’istruzione tecnica e professionale.
Nell’istruzione professionale invece a farla da padrone resta la ristorazione (come si sa, fortemente sostenuta dai programmi televisivi…), mentre, anche qui, prosegue il calo delle scelte, già da molto tempo sempre meno rilevanti, per le professioni tecniche e artigianali (arredamento, manutenzione, meccanica, informatica, elettronica).
Nelle distribuzione nazionale delle iscrizioni cresce la preferenza per i licei nel centro sud Italia e nelle isole (le percentuali per il liceo classico sono il doppio di quelle del nord), dove invece diminuisce la presenza per gli istituti tecnici, mentre rimane per fortuna stabile (diversamente dall’amdamento nazionale) la scelta per l’istruzione professionale in genere, specialmente in regioni come la Campania, la Puglia e la Basilicata.
Sono diversi gli aspetti problematici che emergono da questi dati: la debolezza dell’attività di orientamento scolastico (confermata non solo dallo squilibrio delle scelte, ma anche dall’alta percentuale di dispersione e di abbandoni); la sproporzione, unica in Europa, tra le scelte liceali e quelle per l’istruzione tecnica e professionale; la distanza tra le scelte dei giovani e le opportunità di lavoro.
Basti vedere come nell’istruzione tecnica continua a farla da padrone l’indirizzo amministrativo, che lascia molto distanti indirizzi come meccanica, elettronica, informatica, invece fortemente ricercati dalle imprese.