Ogni giorno sembra buono per la resa dei conti tra i due contraenti del “contratto di governo” data la tanta carne al fuoco ed i tanti punti essenziali sui quali le due forze politiche (ed i loro elettorati) sono in totale disaccordo. Sui quotidiani cartacei, quasi ogni mattina si possono leggere schede che illustrano le posizioni divergenti sui temi essenziali che aspettano risposte. In breve, c’è un contratto ma non un governo che cerchi di risolvere i problemi del Paese.
A questo punto, le somme dell’azione di governo non possono essere che cattive somme, nonostante che dai sondaggi sembri che le due forze politiche su cui si regge l’esecutivo godano del supporto della maggioranza del corpo elettorale. Non è, però, altro che la sommatoria di due minoranze i cui obiettivi (e metodi) politici sono nettamente contrapposti e che riflettono elettorati divergenti. È una sommatoria che produce, in termini di “teoria dei giochi”, un totale che è inferiore a zero: la stagnazione dell’azione di governo che non può che peggiorare la situazione economica e sociale del Paese. La resa dei conti è, quindi, diventata non solo urgente ma indispensabile.
Non è questa la sede per entrare nel merito delle numerose questioni su cui i partner del “contratto di governo” sono oppositori, e si comportano come tali. C’è in primo luogo un problema di metodo. È in corso dalle settimane precedenti le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo un’attività di dossieraggio, di pubblicazione, quasi, ad orologeria, di brani di intercettazioni (non si sa effettuate, sulla base di quali autorizzazione, e come pervenute ai media) che non fa bene ad una democrazia. Gli fa particolarmente male dato che si è diffusa l’allusione e la presunzione che origini proprio da Palazzo Chigi dato che il presidente del Consiglio ha tenuto per sé la delega per i servizi segreti. Il fatto stesso che circolino simili allusioni e presunzioni scredita le istituzioni e dovrebbe indurre il presidente del Consiglio (che è stato indicato da uno dei due contraenti) ad affrettare i tempi per la resa dei conti, pure al fine di difendere sé stesso da illazioni di essere di parte nei confronti di uno dei due ‘soci’ del contratto.
Si pensava che ci fosse una data inderogabile per la resa dei conti: il 26 luglio, Santi Anna e Gioacchino genitori della Vergine Maria. Data alla quale il governo italiano avrebbe dovuto dare una risposta definitiva alla Commissione europea ed alla Francia, nonché agli altri Stati interessati alle rete transeuropee di trasporto in materia di alta velocità tra Lione e Torino (comunemente chiamata Tav). Invece, il 23 luglio c’è stata la resa di Conte: con messaggio televisivo registrato, il presidente del Consiglio ha detto di avere cambiato idea e di accettare la Tav (non si sa se a malincuore o meno). Dal 7 marzo quando aveva respinto il progetto, è cambiato unicamente il maggior finanziamento da parte della Commissione europea dato che in caso di interruzione dell’infrastruttura ci sarebbero stati in ogni caso elevatissimi costi di penali alla Francia, di rimborsi alla Commissione europea e di ripristino del territorio. Occorre vedere se si tratta di una resa alla razionalità economica (quale la resa incondizionata di Conte, e di Tria) per evitare l’inizio di una “procedura d’infrazione”. O, invece, di una mossa tattica in quanto si prepara a mettere in difficoltà il proprio vice primo ministro e ministro dell’Interno oggi pomeriggio in Senato.
Ove si trattasse di mero tatticismo, sarebbe un passo falso. Da un lato, il “sì” alla Tav può essere il detonatore per una scissione del M5S (e nell’immediato dovrebbe portare alla dimissioni del ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli). Da un altro, anche se i rubli del Russia Gate fossero documentati e provati, dubito che inciderebbero su eventuali elezioni, dato che l’”oro di Mosca” per oltre quarant’anni non hai mai influito sulle scelte elettorali degli italiani.
La resa di Conte sulla Tav difficilmente non potrà non accelerare la resa dei conti.