E alla fine proprio alla vigilia della due giorni di fuoco che avrebbe dovuto pronunciare il de profundis per il governo gialloverde, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con un colpo da maestro, ha sparigliato il campo e ha assestato un fendente niente male a chi vorrebbe la rottura e la crisi subito. Sia beninteso, le insidie per il governo sono tutte ancora presenti e cosa succederà nei prossimi giorni non è dato sapere. Russiagate e “autonomia regionale rafforzata” sono a dir poco due mine vaganti che incombono minacciose sui rapporti fra i due alleati di governo.
Ma aver messo sul tavolo la questione della Tav, anche in previsione di una scadenza che era passata in secondo piano, quella della risposta da dare all’Europa entro venerdì prossimo, ha contribuito a disinnescare non poco i due ordigni. E lo ha fatto dando soddisfazione alla Lega, che nel governo si trova sottorappresentata e soprattutto di fronte a un atteggiamento di velina sulle grandi opere da parte degli alleati che potrebbe logorarne poco alla volta la tenuta elettorale. D’altronde, quella che a tutta prima sembrerebbe per Matteo Salvini la soluzione più razionale, richiesta a voce alta anche da molti maggiorenti del partito, cioè mandare in crisi il governo e puntare alle urne, è una via probabilmente sbarrata proprio in questo suo esito finale dal Capo dello Stato. Di fronte alla mossa di Conte, Luigi Di Maio, che non ha molte carte da giocarsi in questa fase politica, ha dovuto ingoiare il rospo, cercando solo di arginare i malumori interni al Movimento a e quella lotta fratricida in atto che prima o poi, a mio avviso, porterà a una scissione-implosione.
Conte, in ogni caso, gli ha lasciato aperta una finestra rimandando comunque per la scelta finale al Parlamento. Di Maio ne approfitterà, ma senza troppa convinzione. La politica è fatta di rapporti di forza, e questi allo stato attuale non sono favorevoli al capo politico dei Cinque Stelle. La politica è però anche fatta di interessi e, sulla Tav, il merito di Conte è stato quello di capire che in questo caso accontentare la Lega avrebbe significato fare anche l’interesse nazionale, visti gli impegni internazionali presi e le somme di denaro già abbondantemente spese. Almeno in parte lo sblocco preannunciato delle grandi opere dovrebbe tacitare un po’ i governatori del Nord, che sono allo stato attuali gli unici temibili oppositori interni del “capitano”.
Quello che doveva essere, domani, un Consiglio dei Ministri all’arma bianca è stato infatti rinviato alla ricerca di un punto di equilibrio fra le richieste dei governatori, le preoccupazioni delle regioni meridionali e le sollecitazioni istituzionali che a Conte saranno arrivate sicuramente dall’alto. Resta la minaccia del caso russo, con l’atteso discorso al Senato di oggi pomeriggio del presidente del Consiglio. L’impressione è che però, anche in questo caso, quello che è sempre meno un “notaio del popolo” e sempre più un mediatore fra posizioni apparentemente inconciliabili, saprà smussare gli angoli. L’indignazione delle opposizioni che ne seguirà sarà anche questa volta inefficace.